Io le dissi ridendo -Ma signora Aquilone, non le sembra un po' idiota questa sua occupazione?
Lei mi prese la mano e mi disse -Chissà? Forse in fondo a quel filo c'è la mia libertà.

domenica 27 marzo 2011

E come portati via si rimane

Contemplo l'illimitato silenzio di una ragazza tenue
Impara l'arte e fai la tua parte, si potrebbe dire. Non sono un animale da mostre e da teatri, non sono una che guai se mi perdo quel vernissage, sono una gran pigrona che per lo più preferisce casa propria e tutte le mirabolanti possibilità di svago che essa offre a costo zero e fatica sotto zero. Tuttavia accolgo volentieri le proposte che mi cadono dal cielo, da qualche amico culturalmente più zelante. E dunque oggi, domenica, ho puntato la sveglia alle 7.30 (perdendo pure un'ora di sonno causa cambio dell'ora) in nome di Giorgio De Chirico, in mostra a Reggio Emilia.
Suggerisco volentieri questa mostra, per lo meno a chi, come me, associava a questo pittore soltanto qualche vaga immagine di manichini. I manichini ci sono e finalmente ho capito perchè e cosa vorrebbero essere. Ci siamo pure concesse la visita guidata, non così rivelatrice in realtà, mentre molto lo sono stati i filmati proiettati, compresa l'intervista al "maestro".
Quadri che sono più un rebus intellettuale che un trionfo dell'arte che squote i sensi. C'è molto di assurdo in quei dipinti, che sono spesso anche assai inquietanti, come questo di cui posto l'immagine (che alla mostra purtroppo non c'è ma di cui si parla in uno dei suddetti filmati). Città alle due del pomeriggio ad agosto con le serrande abbassate e le finestre chiuse, e il sospetto che qualcosa di misterioso si nasconda da qualche parte. Fiato corto, disagio, vertigine....come portati via si rimane: questa frase, così come quella nella didascalia dell'immagine, è di una poesia di Ungaretti (Nostalgia) che credo descriva perfettamente quella sensazione. Questo è l'effetto che mi hanno fatto molti dei quadri esposti.
Dato che non ne capisco niente di tecniche e stili pittorici spesso mi affascinano i pittori "difficili", quelli che ti chiedi perchè mai abbiano accostato certi soggetti, perchè mai abbiano scelto certe innaturali prospettive, perchè mai dipingano in quel modo. Per questo forse ho benedetto la sveglia antelucana e non me la sono nemmeno presa con la multa che mi sono ritrovata al mio ritorno a Modena (divieto di sosta). Una bella mattinata stimolante. Ringrazio l'amica culturalmente più zelante che me l'ha proposta. Alla prossima proposta. 

giovedì 24 marzo 2011

Dieci cose per cui valga la pena vivere

Mi cimento pure io nella mia personale lista, così come ha fatto Saviano invitando chiunque altro ne abbia voglia a fare lo stesso.
1) Sentirsi a casa, amare le proprie quattro pareti e sentirci dentro il mondo intero.
2) Sentirsi dire che si assomiglia ad una persona speciale che non c'è più.
3) Avere letto e riletto i Sepolcri di Foscolo e trovarci il senso della vita, della morte, degli ideali, delle ambizioni.
4) Sapere a memoria le canzoni che ascoltavano i propri genitori quando si sono conosciuti, sentire come parlino di sè così come parlavano di loro.
5) L'impertinenza del buonumore, che ti sorprende per una passeggiata in un posto amato, una canzone da cantare a squarciagola in macchina, il tempo di un bagno caldo e del proprio silenzio...
6) Una cena preparata con dedizione e gustata con chi amiamo, una bottiglia di vino, la pancia piena e la testa leggera.
7) L'affetto puro degli animali domestici, i pensieri cupi che si allontanano osservando la semplicità del loro vivere.
8) Dedicare attenzione e cura alle persone care, imparare a donarsi con sincerità e rispetto, che già solo per questo una vita intera non basta.
9) Sognare, fantasticare, progettare, indipendentemente dalla fattibilità del progetto.
10) La nostalgia di quando si era bambini e ragazzi, la tenerezza che fa chi bambino e ragazzo lo è ora.

Di getto, in ordine sparso, così come mi sono venute in mente, e sicuramente tante ne ho lasciate indietro. Ma sicuramente queste sono dieci delle mille e più cose per cui per me vale la pena vivere. Buona vita a tutti.

domenica 20 marzo 2011

A tutto grano, a tutta birra

...ovvero, la mia prima esperienza con la produzione della birra all grain. Come avevo già raccontato in questo post, fra le mie esperienze di autoproduzione quella della birra è senza dubbio la più accattivante. Finora però mi ero limitata alla produzione col metodo più semplice, quello del barattolo di malto già luppolato. Esiste poi un metodo intermedio (chiamato E+G, ovvero estratto non luppolato più grani), che ho bellamente saltato per approdare appunto all'all grain, per il quale non esiste una traduzione in italiano e che ho dunque ribattezzato "a tutto grano". Questo metodo è quello dei veri mastri birrai, piuttosto impegnativo ma capace di vastissime possibilità di personalizzazione e dunque di vere soddisfazioni da demiurgo dell'homebrewing.
Come primo approccio mi sono limitata a seguire la ricetta proposta nel kit per all grain della "weizen" di Mr Malt. Si tratta di un classica birra di frumento tedesca, granosa, come dico io, con una bella schiuma abbondante, beverina e adattissima ad accompagnare un lauto pasto.
Passando a questo metodo di birrificazione mi sono resa conto che i siti e i libri specializzati sono spesso o lacunosi o eccessivamente complessi, o ambedue le cose insieme, nel senso che magari ti attaccano una tomella sugli enzimi coinvolti e le catene proteiche demolite e non specificano ad esempio quanto tempo occorre per un determinato passaggio o quale consistenza avrà il "mosto" ottenuto. Ebbene, ecco allora il mio diario di bordo della birra casalinga "a tutto grano" ad uso e consumo di chi fosse semplicemente curioso di leggerselo o magari di provare a sua volta.

La mola per macinare i grani: 2 ore di palestra!
Primo capitolo: attrezzatura, tempi, spesa. 
Risorse minime aggiuntive rispetto al metodo base.
Innanzitutto vi occorrerà mooooolto più tempo ed una consapevolezza: farete un gran casino in giro per casa, tra crusca volante e zuccheri appiccicati sui pomelli di tutti i mobili che oserete toccare e su voi stessi. E' pur vero che darsi a questo metodo di birrificazione in 60 mq di appartamento cittadino richiede una certa dose di follia, ma d'altra parte la mia celeberrima nonnona faceva un quintale di conserva di pomodoro nei suoi 60 mq, e da qualcuno avrò pur preso!  
Tempo totale per macinare, ammostare, filtrare, bollire, raffreddare, passare nel fermentatore: circa 12 ore (lavorando in due). 
Quanto all'attrezzatura vi servirà per lo meno:
- una mola, come quella della fotografia. Vengono vendute per fare le farine in casa, a voi basterà spezzare i grani in modo da aumentarne la superficie specifica.
- due secchi da vendemmia da 20 l.
- un pentolone di alluminio di 36 cm di diametro (ci stanno circa 30 l di liquido), eventualmente con coperchio (sostituibile con un grosso tagliere).
- un vassoio asciugapasta, grande abbastanza da essere comodamente appoggiato sui secchi da vendemmia. La griglia del forno potrebbe essere una valida alternativa.
- setacci per farina in acciaio, i più fini che trovate, meglio due da mettere in batteria. Come setaccio più fine potrebbe andare bene anche una rete-coperchio paraschizzi per fritture.
- un termometro per alimenti che arrivi a 100 °C.
- una confezione di tintura di iodio (si trova in farmacia).
Esistono ovviamente attrezzature più professionali per la filtrazione, come il tino di ammostamento, o c'è chi si è ricavato buone alternative modificando opportunamente frigoriferi da campeggio. Io ho operato con l'attrezzatura suddetta ed, almeno apparentemente, le cose sembrano andate per il verso giusto (mi riservo di confermare quando avrò assaggiato la birra).
Prezzo totale per tutto ciò circa 130-150 euro. L'attrezzo più costoso è la mola (circa 50-60 euro), ma nel mio caso si è trattato di un graditissimo regalo.
Aggiungo che per raffreddare più velocemente possibile il mosto basterà possedere una vasca da bagno dove immergere il pentolone in acqua fredda. In assenza di questa, o di un catino più grande della pentola che assolva la stessa funzione, dovrete acquistare anche una serpentina per il raffreddamento, della quale però ignoro il costo.
Per ora passo e chiudo. Prosit (si spera)!

giovedì 17 marzo 2011

Italy is not (only) Padania

?????????????

Sia festa in questo giorno che vuole ricordare 
i grandi che l'Italia la seppero sognare:
unita, solidale, partecipe, armoniosa.
Benchè quella di oggi sia invero poca cosa,
che se ora ritornassero Mazzini e Garibaldi
a stento riuscirebbero a tenere i nervi saldi.
Sia festa a chi è padano per strenui sentimenti
e pure a chi lo sia per semplici accidenti. 
Lo sia per chi non possa a rigor dirsi "padano":
ché oggi è sì la festa di chi parla l'italiano!
Lo sia per la regione che può menar il vanto
di aver dato i natali al re del Divin canto.
Lo sia per la regione che al Po dà nascimento,
lo sia per quella invece che lo porta a compimento.
Lo sia laddove siede di San Marco il leone,
lo sia laddove è nato Manzoni e il panettone.
E sia italica gioia per chi ha onorificenza 
dei monti, del tedesco, rigore ed efficienza.
E pure a chi si estende del Bianco alle pendici
che noi condividiamo coi nostri Galli amici.
Dalla region del Carso a quella con i Sassi,
fino alle Cinque Terre passando per Frasassi;
che festa sia sul suolo dei pastori dannunziani,
cotal lo sia sul suolo dei padri francescani.
Sul tacco e sulla punta del nobile stivale,
laddove mare e sole son dono naturale;
sia festa nella terra che dal sessantatrè
fa parte delle venti...e tu lo sai qual è?
Sia festa sul Vesuvio, su tutta la costiera, 
lo sia pure sull'Etna, in quella terra fiera,
così come d'orgoglio trabocchi la regione
che vive del suo mare e un tempo del carbone.
E almeno sia per oggi, lo dico qui nel fondo,
la festa anche di Roma, capitale a tutto tondo,
di tutta questa Italia che io con gran rispetto
provo ad omaggiare col mio umil poemetto.

mercoledì 16 marzo 2011

Nella ricerca di Giulia, parte III (e ultima!)

Un corallo visto in sezione sottile, perforato da un bivalve
Il romanzo della mia ricerca ad uso e consumo di mia sorella di anni 6 volge al termine, dopo essersi dipanato attraverso questo post e questo
Molto si impara delle vite di questi organismi studiandone le cause di morte; la si potrebbe chiamare "anatomopatologia fossile", una disciplina che i geologi chiamano tafonomia. E salta fuori che  c'era qualcuno che nell'orribil sabbione gozzovigliava, ovvero vermetti e bivalvi che perforavano i coralli e stabilivano lì la loro dimora. A questi della luce non importava per niente e a cibarsi di fango e di detriti erano avvezzi da tempo immemore. I coralli tolleravano questi coinquilini non richiesti, specie se erano abbastanza grandi; quelli sottili invece soccombevano, bucherellati come groviera. Tutti quanti però si indebolivano, e, provati anche dalle tante energie che dovevano spendere per le operazioni di pulizia, alzavano bandiera bianca. I coralli più grandi comunque avevano una vita relativamente lunga, almeno qualche decina di anni. Quelli sottili contavano sui grandi numeri: tanti ne morivano, altrettanti ne nascevano, essendo più rapidi nella crescita rispetto a quelli "a cavolfiore".
Tutte architetture coralline quelle che ho studiato che dimostrano che "corallo" non fa necessariamente rima con "Eden". Alcune di queste biocostruzioni, anzi, si evidenziano come particolarmente durature e stabili, e pertanto sarebbe forse più corretto considerarle come esempi di stili di vita alternativi più che adattamenti a condizioni disagiate. Vincono la partita dei miei "coralli di bocca buona" quelli che si svilupparono nella parte sommersa più profonda di un ampio delta fluviale di piana alluvionale (tipo Po, qui lo dico e qui lo nego, che nella ricerca ogni fetecchia che si scrive andrebbe motivata e dimostrata). Costoro avevano principalmente il problema della poca luce più che dell'accumulo di detriti, ma evidentemente lo avevano superato alla grande ed erano in grado di prosperare a lungo.
Bene ragazzi, questo è quanto, o almeno gli aspetti principali. Se ne riparla il 1° aprile in sede di discussione della tesi!

martedì 15 marzo 2011

Il nocciolo (nucleare) della questione

Avevo già toccato il tema dell'energia nucleare tempo fa, commentando in questo post lo spot del Forum Nucleare, poi sospeso perchè giudicato ingannevole. Dunque, partita a schacchi interrotta per condotta antisportiva dello scacchista bianco, e adesso ci si mette pure l'emergenza nucleare in Giappone a rompere le uova nel paniere dei nuclearisti italiani.

Due minuti del vostro tempo per un giochetto a buon mercato, intitolato "Esercitarsi all'utopia: l'Italia come l'Isola che non c'è". L'Italia è un paese culturalmente lungimirante. L'Italia è un paese in cui l'interesse della nazione viene prima del proprio o di quello dei propri amici. L'Italia è un paese in cui si è intuita da almeno trent'anni l'importanza dei temi ambientali, della gestione razionale dell'energia, dei rifiuti, della mobilità, dell'urbanizzazione, dei consumi. Non a caso, sono questi i temi fondanti di ogni campagna elettorale di ogni partito. L'Italia è un paese in cui chi si occupa di ambiente a livello istituzionale ha una solida formazione scientifica e si avvale di collaboratori altrettanto preparati. Per questo motivo, ad esempio, dopo avere raccolto e valutato i pareri di persone preparate in materia, si è accantonato il progetto aleatorio del Ponte sullo Stretto di Messina. L'Italia è un paese in cui le case non si sbriciolano per un terremoto di 6 gradi Richter per negligenze costruttive, perchè il rischio sismico è elevato e le regole in fatto di edilizia vengono scrupolosamente osservate da decenni.
In un'Italia come questa, il 12 giugno prossimo andrei al referendum e voterei comunque contro la realizzazione di impianti nucleari nel mio paese per una serie di ragioni in parte accennate nel mio precedente post di cui sopra. 
Figuriamoci in un'Italia così.

giovedì 10 marzo 2011

Happy birthday?...happy hour!

"La colazione dei canottieri" di Renoir
Un paio di compleanni in famiglia (tra cui il mio...) saranno il pretesto per organizzare un'alternativa più easy al pranzo o cena coi parenti: l'aperitivo coi parenti! Quindi, tavolo addossato alla parete, sedie e divani, cuscini sul pavimento per i più giovani, e via andare.
Proposta di una logica con cui stabilire cosa preparare. Ricognizione del frigorifero e della dispensa.
Nel mio caso ho avvistato vari ingredienti in cerca di cuoco in attesa di essere valorizzati: pesto alla genovese, fagioli cannellini, wurstel, due panetti di ottimo burro, prosciutto crudo da affettare, riso,  un barattolo di "condiriso" alle verdure, ananas sciroppato, mele, una bottiglia di San Giovese.  
Vantaggi del precariato: vivi solo da qualche anno, ma genitori, zii e parenti magnanimi continuano a farti dono di provviste temendo che tu non abbia di che sfamarti, nonostante la tua mole indichi chiaramente che non corri questo rischio. Ragion per cui io non ho acquistato direttamente quasi nessuna delle suddette vettovaglie.
Ecco dunque cosa ho pensato di realizzare.Riso freddo con pesto alla genovese, pomodorini secchi (da acquistare) e fagioli cannellini. Utilizzerò i pomodri secchi avanzati per condire una focaccia che arricchirò con aglio e rosmarino (chi non li ha sempre in casa?! esiste qualcuno?? abbiateli!).
Con l'ottimo burro farò dei salatini, che riempirò con wurstel e straccetti di prosciutto crudo. Una parte del burro lo utilizzerò per realizzare burri aromatizzati alle madorle tostate e prezzemolo. Le mandorle le ho sempre in casa, il prezzemolo lo trito fresco e lo surgelo, per cui anche quello non manca mai ed è sempre ottimo.
Il condiriso lo triterò e lo mescolerò alla maionese (da acquistare o, perchè no, da preparare in casa) e a una punta di senape. Se avete dei rimasugli di formaggi semiduri, dadolateli finemente e unite anche loro. Un goccio di worcester (pure lui va avuto assolutamente). Con questo condimento e con i burri aromatizzati potrete farcire ottimi tramezzini. Vi occorrerà dunque l'apposito pane.
San Giovese, ananas e mele uguale sangria! Potrebbe anche non servirvi altro, ma volendo potete complicarla un po'....attendere la ricetta.
Il totale degli ingredienti non supera i 25-30 euro e dieci persone si sfamano tranquillamente. Prossimamente qualche dettaglio in più sui procedimenti! Ora scappo, stasera ristorante giapponese (gnam!).

martedì 8 marzo 2011

Dove osa la mimosa

...che fa pure rima con quote rosa, che, pare, verranno introdotte presto anche in Italia, almeno nei consigli di amministrazione. Il concetto di "quote rosa" mi provoca un principio di sfogo allergico. L'agente allergenico è l'idea che la presenza delle donne sia un'imposizione di legge e non una scelta dettata dalle qualità di una persona, uomo o donna che sia. Ma tant'è, se questa è l'unica soluzione per garantire a donne meritevoli (e non donne e basta, giusto per mettersi a posto con la legge) le stesse opportunità professionali di un uomo, assumerò qualche antistaminico.
A te, amico uomo, che presìdi baldanzoso il tuo posto di lavoro pensando sotto sotto di farlo meglio della tua collega donna, perchè non capiterà mai a te di lasciare sguarnita la poltrona per l'infante influenzato o per esserti preso l'influenza dall'infante influenzato o perchè sono solo le 18.31 e comincia il turno del tuo secondo lavoro (spesa, casa, etc). A te, amico uomo, rivolgo questo invito, ma premetto: pace e amore, fratello, nessun malanimo, a me piacete voi maschietti e non vi penso affatto inutili e cattivi. 
Ma soffermiamoci per un attimo, amico uomo, su questa tua collega donna. Scommetto che svolge il suo lavoro almeno degnamente, anzi magari brillantemente. Forse ha fatto più assenze di te, per i motivi suddetti o per altri (l'hobby di rimanere incinta?), forse la sua dedizione al lavoro ha dei limiti di orario più ferrei dei tuoi.
Biglietto low cost per maschi volenterosi, andata e ritorno in una manciata di secondi dentro la testa della collega donna. 
Otto lavatrici da fare perchè altrimenti i panni sporchi ci sfrattano. Latte per la colazione di domani e poi un po' di verdura per la cena che fa bene a tutti. Per stasera finiamo le scaloppine, domani pasta al pesto, per Luca al pomodoro perchè al pesto non gli piace, cosa preparo dopodomani? Cambiare il letto, perchè non si possono passare due mesi nelle stesse lenzuola. Stendo, stiro e ammiro. C'è da portare la macchina dal gommista. Poco male, parto all'alba e poi vado al lavoro a piedi che magari butto giù due etti. Preparare i calzini di Sergio perchè domattina esco prima di lui e lui mica lo ha ancora imparato in quale dei nostri TRE cassetti sono contenuti i calzini. Fra poco compie gli anni, voglio preparargli una bella sorpresa! La bolletta del telefono. Se non fosse per me ci avrebbero già staccato i fili. Il matrimonio della Betti. Cosa le regaliamo? come ci vestiamo? Depilazione: ormai è primavera, gambe allo scoperto, donna barbuta...sese....tutte cazzate. Cosa aveva ieri sera la Maddi? Stasera le telefono, secondo me ha bisogno di parlare. Mal di testa, pancia gonfia, brufoli, pure adesso che l'adolescenza è un ricordo: devono venirmi. 

Se la suddetta collega donna nonostante tutto svolge il suo lavoro almeno degnamente, con un pizzico di collaborazione da parte del suddetto Sergio potrebbe ambire al premio Nobel.
Le quote rosa cominciano tra le mura domestiche. Amico uomo, vai a casa un po' prima oggi. E se intercetti un cestone di panni umidi odorosi di bucato in mezzo al corridoio...no, non aggirarli, non sono una nuova avanguardia di arredo: stendili, puoi farcela! La tua donna per la sua festa riceverà un'insperata sorpresa.

lunedì 7 marzo 2011

Nella ricerca di Giulia, parte II

E dunque, la mia ricerca, ovvero gli ultimi tre anni della mia vita. Riprendo il discorso da questo post.
Si diceva, vita, morte e miracoli dei coralli di bocca buona di 30 milioni di anni fa.
Perchè studiarli? Curiosamente occorre fare una premessa molto simile a quella che si dovrebbe fare parlando del latino, del greco, della filosofia, della linguistica, dell'antropologia, dell'astrofisica e di centinaia di materie che patiscono il pragmatismo razzista che si cela dietro all'interrogativo ricorrente: ma a cosa serve??? A nulla, ovviamente. A nulla a cui per lo più pensi chi pone questa domanda. Non serve a salvare vite umane, non serve al progresso delle nuove tecnologie, non serve a scoprire nuove fonti di approvvigionamento energetico, non serve a confezionare brevetti da milioni di euro, non serve a migliorare la produttività e l'efficienza, non serve a farsene qualcosa. Non serve nemmeno, almeno in Italia, a trovare lavoro.
Dunque, senza alcuna velleità di concretezza, si studiano questo bestie semplicemente per capire qualcosa di loro. Per immaginare come se la passavano, se conducevano esistenze disagiate e fugaci o se invece nel loro habitat ostile ci si erano adattati bene, per evidenziare se avessero caratteristiche distintive che ci facciano esclamare "Eccoli qua, questi li conosco: sono quelli di bocca buona!" ogni volta che un nuovo smartellamento porti in luce nuovi relitti di coralli dal passato. Perchè rappresentano un pezzettino di una lunghissima storia affascinante in cui solo verso la fine del romanzo compariamo anche noi.
Alcuni dei miei coralli "di bocca buona"
Per raccontare la loro storia si comincia dando loro un nome: genere, specie, esattamente come si fa oggi. E si scopre, tanto per cominciare, che probabilmente non era un paese per coralli qualsiasi, e dunque pochi generi spadroneggiavano, ma quei pochi colonizzavano porzioni piuttosto estese di fondale marino. E se tra gli umani si dice che l'abito non fa il monaco, in queste condizioni invece l'abito, e cioè la forma, faceva la differenza, eccome. Forme sottili, che crescevano in fretta, che si accontentavano di un substrato mobile e melmoso, ramificate, in modo che i detriti scaricati dalla costa li attraversassero senza appoggiarsi su di loro soffocando i piccoli polipi. Oppure forme massicce, a cavolfiore, con polipi più grandi e forti, capaci, con il loro movimento di pulirsi dal deposito di sedimento. Bestiole che avevano fatto del fango in sospensione una risorsa, perchè le piccole particelle oscuravano sì la luce ma trasportavano anche sali minerali, cibo (per la cronaca: i coralli di Nemo stanno in acque limpide perchè la luce serve alle minuscole alghette con cui vivono in simbiosi, protezione in cambio di fotosintesi e dunque...cibo per tutti!). Alcuni di questi coralli accettavano anche di farsi ricoprire dai detriti, tiravano a campare, in attesa di tempi migliori, ovvero di correnti che li ripulissero. Magari qualche polipetto moriva, ma erano coralli grandi, fatti di migliaia di piccoli polipi fitti fitti, e in questi casi, l'unione fa la forza e morto un papa si fa senza, tanto ci sono tutti gli altri.
Anche per questa volta il limite di leggibilità è raggiunto e qui mi fermo. Nella prossima puntata: quanto tempo vivevano questi coralli? Qual era la causa della loro morte? In quale fra gli ambienti ostili indagati se la passavano meglio? 

domenica 6 marzo 2011

Alla ricerca di Nemo, nella ricerca di Giulia

Ovvero, la mia tesi di dottorato spiegata a mia sorella di anni sei.
Oggi ho riguardato "Alla ricerca di Nemo", a mio avviso uno dei cartoni animati Disney pixar meglio riusciti. Spledidi colori, personaggi ben delineati, un bel messaggio di speranza e fiducia. Confesso che mi commuovo pure un poco nel vedere il piccolo Nemo coraggioso, con la sua pinna atrofica, diventare un eroe.
L'ambientazione di questo cartone animato mi ha fornito lo spunto per un post che dedico a quanti negli ultimi tre anni si fossero chiesti di che cosa esattamente mi sia occupata con il mio dottorato.
Pensate alla barriera corallina dove Nemo è nato: acque tropicali limpide, un paradiso. Dei tipi esigenti questi coralli (che, detto per inciso, sono animali). Non necessariamente, in realtà. A ben guardare infatti si scopre che sanno accontentarsi, tanto che li ritroviamo anche in ambienti più ostili, acque temperate, profonde, torbide, stagnanti; magari non sono così "rigogliosi", variegati e variopinti, e dunque comprensibilmente attirano meno l'attenzione. Probabilmente anzi nella loro lunga storia è in questi habitat poco attraenti che si sono diversificati affinando le loro strategie di nutrizione. Non dimentichiamo infatti che queste bestiole trascorrono la loro vita attaccate al fondale marino e pertanto il problema di procurarsi il cibo standosene sempre tappate in casa occupa gran parte dei loro pensieri (e come dargli torto?!).
Il planisfero 30 milioni di anni fa
Coralli di bocca buona, cresciuti nei pressi di delta fluviali che nella stagione delle piogge scaricavano in mare grandi quantità di detriti o in lagune costiere fangose; vita, morte, miracoli di costoro. Di questo mi sono occupata. Bestiole vissute circa 30 milioni di anni fa, quando nulla di umanoide aveva fatto la sua comparsa sulla Terra, i dinosauri erano già un lontano ricordo, il clima era più caldo di adesso e la penisola italiana era ancora in fase embrionale. Bestiole che oggi, smartellate sulla terraferma in Spagna, Italia, Slovenia, sono finite tra le mie grinfie grazie al sollevamento di questi antichi fondali marini (deriva dei continenti, orogenesi....sì, ok, forse è meglio aspettare che mia sorella abbia qualche anno in più per addentrarmi in queste vidende).
Come e perchè dunque studiare costoro? Cosa ci raccontano? Il post si sta allungando oltre i limiti di leggibilità e qui mi fermo. Per saperlo rimando alla prossima puntata. 

giovedì 3 marzo 2011

Il carnevale senza frappe non vale

Riemersa dalla tesi di dottorato, ritorno al mio amato blog con una ricetta immancabile in un giorno come questo. Oggi infatti ho trascorso un pomeriggio familiare, dunque fritto, dunque pieno di gaudio, insieme alla mia mamma, dedicato alla tradizionale preparazione delle frappe. Un dolce per cui non vado matta, ma che se è ben fatto è strepitoso. Quelle della mia mamma sono immancabilmente stre-pi-to-se. Garanzia della buona riuscita delle nostre frappe è stata la ricetta della celeberrima nonnona, che in fatto di fritti non era seconda a nessuno e che ha tramandato egregiamente i suoi geni anche a noi.
(perplessità antropologica per le tante case in cui non si frigge perchè fa puzza. Embè? ma mangia che ti passa!)
Ecco cosa occorre:
800 g di farina
200 g di fecola
100 g di burro
150 g di zucchero
3 uova intere e 2 tuorli
grappa
zucchero a velo come se piovesse
buon olio per friggere (arachidi)

Si mescolano farina, fecola e zucchero, si fa la classica fontana e vi si rompono dentro uova intere e tuorli. Si inizia ad impastare, volendo, inizialmente, con l'aiuto di una forchetta. Si aggiunge il burro, bello morbido o eventualmente anche fuso, intiepidito. A questo punto è obbligatorio passare all'uso delle mani. Voluttuosamente e senza timore di impiastricciarsi (che è il suo bello), si amalgama il tutto e si unisce la grappa. Ovviamente, q.b., il chè significa fino ad ottenere un impasto coeso, bello sodo ma non cementoso. Nel nostro caso oggi mi pare che si sia giunti almeno ad un bicchiere di grappa. Se l'impasto fosse ancora troppo duro e/o slegato e aveste timore di esagerare con la parte alcolica aggiungete acqua.
A questo punto preparatevi a: 1) stendere metri e metri di impasto (se non aveste, come noi non abbiamo, metri e metri di tavolo, ovviamente procedete con la stratificazione di tovaglie o burazzi); 2) rendere la cucina un po' un campo di battaglia, tra olio, pastelle e zucchero a velo; 3) ritrovarvi fritti nel corpo e nell'anima.
L'impasto delle frappe deve essere molto sottile, dunque vi conviene utilizzare la macchina tipo Imperia, ultimo buco, quindi sfoglia sottilissima.
Con la classica rotellina create delle belle forme a simil rettangoli, rombi, trapezi, rigorosamente irregolari! Scaldate l'olio e iniziate la frittura. Bastano pochi secondi da che inizierete ad immergere i pezzetti. Con l'ausilio di due forchette estraeteli e lasciateli scolare sulla carta assorbente. Non vi scompensate: risulteranno morbidi, ma si seccheranno ben presto. Prima che sia troppo tardi, ovvero finchè sono ancora belle calde, spolverizzate le vostre frappe con abbondante zucchero a velo.
Con queste dosi vi verranno frappe da giovedì a martedì grasso...dunque regolatevi!

English version:
This is a cake typically prepared in Italy at carnival time. It assumes many different names depending on the region or possibly on the city. In Modena they are usually called frappe, which means more or less "ribbons".
This is what you need to prepare plenty of frappe, but don't worry: they continue to be delicious for a long time...and probably they won't last for a long time!
800 g of flour
200 g of potato starch
100 g of butter
150 g of sugar
3 eggs and 2 yolks
some "grappa" or other spirit
a lot of icing sugar
a good-quality oil to fry

Mix together the flour, the potato starch and the sugar and form a sort of mountain with a hole at the top: put the eggs and the yolks into the hole. Start kneading and add the softened butter and finally the spirit: you should obtain a firm, homogenous mass.
Now you need meters and meters of very thin pastry, thus is better to use the proper machine. With a knife or something like that cut the thin pastry into stripes and/or diamonds and fry them into a very hot oil: they need few seconds. Take them out of the oil and put on a blotting paper. Don't worry: the shape of your cake must be irregular! Dust of abundant icing sugar...and buon appetito!