Io le dissi ridendo -Ma signora Aquilone, non le sembra un po' idiota questa sua occupazione?
Lei mi prese la mano e mi disse -Chissà? Forse in fondo a quel filo c'è la mia libertà.

lunedì 7 marzo 2011

Nella ricerca di Giulia, parte II

E dunque, la mia ricerca, ovvero gli ultimi tre anni della mia vita. Riprendo il discorso da questo post.
Si diceva, vita, morte e miracoli dei coralli di bocca buona di 30 milioni di anni fa.
Perchè studiarli? Curiosamente occorre fare una premessa molto simile a quella che si dovrebbe fare parlando del latino, del greco, della filosofia, della linguistica, dell'antropologia, dell'astrofisica e di centinaia di materie che patiscono il pragmatismo razzista che si cela dietro all'interrogativo ricorrente: ma a cosa serve??? A nulla, ovviamente. A nulla a cui per lo più pensi chi pone questa domanda. Non serve a salvare vite umane, non serve al progresso delle nuove tecnologie, non serve a scoprire nuove fonti di approvvigionamento energetico, non serve a confezionare brevetti da milioni di euro, non serve a migliorare la produttività e l'efficienza, non serve a farsene qualcosa. Non serve nemmeno, almeno in Italia, a trovare lavoro.
Dunque, senza alcuna velleità di concretezza, si studiano questo bestie semplicemente per capire qualcosa di loro. Per immaginare come se la passavano, se conducevano esistenze disagiate e fugaci o se invece nel loro habitat ostile ci si erano adattati bene, per evidenziare se avessero caratteristiche distintive che ci facciano esclamare "Eccoli qua, questi li conosco: sono quelli di bocca buona!" ogni volta che un nuovo smartellamento porti in luce nuovi relitti di coralli dal passato. Perchè rappresentano un pezzettino di una lunghissima storia affascinante in cui solo verso la fine del romanzo compariamo anche noi.
Alcuni dei miei coralli "di bocca buona"
Per raccontare la loro storia si comincia dando loro un nome: genere, specie, esattamente come si fa oggi. E si scopre, tanto per cominciare, che probabilmente non era un paese per coralli qualsiasi, e dunque pochi generi spadroneggiavano, ma quei pochi colonizzavano porzioni piuttosto estese di fondale marino. E se tra gli umani si dice che l'abito non fa il monaco, in queste condizioni invece l'abito, e cioè la forma, faceva la differenza, eccome. Forme sottili, che crescevano in fretta, che si accontentavano di un substrato mobile e melmoso, ramificate, in modo che i detriti scaricati dalla costa li attraversassero senza appoggiarsi su di loro soffocando i piccoli polipi. Oppure forme massicce, a cavolfiore, con polipi più grandi e forti, capaci, con il loro movimento di pulirsi dal deposito di sedimento. Bestiole che avevano fatto del fango in sospensione una risorsa, perchè le piccole particelle oscuravano sì la luce ma trasportavano anche sali minerali, cibo (per la cronaca: i coralli di Nemo stanno in acque limpide perchè la luce serve alle minuscole alghette con cui vivono in simbiosi, protezione in cambio di fotosintesi e dunque...cibo per tutti!). Alcuni di questi coralli accettavano anche di farsi ricoprire dai detriti, tiravano a campare, in attesa di tempi migliori, ovvero di correnti che li ripulissero. Magari qualche polipetto moriva, ma erano coralli grandi, fatti di migliaia di piccoli polipi fitti fitti, e in questi casi, l'unione fa la forza e morto un papa si fa senza, tanto ci sono tutti gli altri.
Anche per questa volta il limite di leggibilità è raggiunto e qui mi fermo. Nella prossima puntata: quanto tempo vivevano questi coralli? Qual era la causa della loro morte? In quale fra gli ambienti ostili indagati se la passavano meglio? 

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