Io le dissi ridendo -Ma signora Aquilone, non le sembra un po' idiota questa sua occupazione?
Lei mi prese la mano e mi disse -Chissà? Forse in fondo a quel filo c'è la mia libertà.

lunedì 30 gennaio 2012

Laureati over 28: le parole sono importanti

I nostri ministri, viceministri, parlamentari, dovrebbero una buona volta capire che le parole sono importanti per chi ha una carica pubblica e che l'abitudine di parlare a vanvera non giova a chi la pratica e non educa chi la subisce, perchè lo autorizza a fare lo stesso.
Lo ha capito probabilmente il viceministro Michel Martone, quello che chi si laurea dopo i 28 anni è uno sfigato. Diciamo la verità, siamo stati abituati a molto peggio, e a confronto con chi ha praticato il qualunquismo lessicale per oltre 15 anni, davanti a platee anche internazionali, il povero Martone è un pivello e tanto sdegno mi appare un eccesso di suscettibilità.
Pur essendomi laureata entro gli argini della sfiga, rientro sicuramente nella categoria di sfigata al cubo, giacchè nel fantomatico mercato del lavoro sono entrata dalla porta di servizio e con le idee tuttora assai confuse. Peraltro, a 31 anni suonati, sono tornata matricola, a giurisprudenza, con previsione di laurearmi entro i miei primi 40 anni.
Da sfigata quale sono mi sento dunque autorizzata a svestire le parole di Martone della loro (infelice) forma per andare al loro (supposto) contenuto e a dire che noi non giovani italiani siamo in effetti campioni indiscussi nel "procrastinamento per (presunta) giusta causa". Già lo sottolineò il simpatico Padoa Schioppa definendoci bamboccioni.
Figli di genitori che ci hanno forse concesso troppo e spesso semplificato troppo la vita, precludendoci il lusso della delusione e dell'amarezza, che ci hanno giustificato a oltranza di fronte agli insegnanti, ci hanno imposto l'università dietro casa e ci hanno comprato la macchina per raggiungerla comodamente, ci hanno garantito l'iPhone e la Play e la settimana bianca. Autonomia, solitudine, sacrificio, compromesso, impegno, responsabilità, confronto non sono stati pane per i nostri denti, che, mai sollecitati, sono restati quelli da latte. E questo è ancor più vero per i non giovani figli italiani maschi.
La vita è difficile, il lavoro non c'è o è precario o non è quello dei nostri sogni; e i sogni, già, quelli, non ci hanno forse educato a confonderli con le pretese? I nostri coetanei di altri paesi, che non necessariamente si laureano entro i 28, magari non si laureano nemmeno, ma che di certo vanno a vivere da soli quando a noi ancora la mamma rimbocca le coperte, cos'hanno in più di noi? Sussidi statali? Economie più solide? Meno gerontocrazia? Più meritocrazia? E' solo questo o forse, genitori e figli italiani, dovrebbero fare un po' di autocritica?

Caro (gnocco!) viceministro dottor avvocato professor Martone ordinario a 37 anni (cooosa???) il convento oggi ti passa un difensore d'ufficio sfigato al cubo, ma in tempi di crisi non si butta via niente. Ehm, certo che se tu fossi stato figlio di un panettiere e fossi ancora ad arrabattarti con gli assegni di ricerca il mio compito sarebbe stato più semplice...no?

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mercoledì 25 gennaio 2012

Coraggio: sostantivo singolare femminile

"The help": ecco 8 euro che non si fanno rimpiangere. Perchè, sì, 8 euro per andare al cinema restano davvero tanti , ma la cifra è ammissibile per un film di oltre due ore durante il quale a) non ho mai controllato il cellulare per vedere se avevo dei messaggi (leggi: per guardare l'ora); b) ho sorriso e riso di gusto; c) mi sono più volte commossa; d) ho riflettuto su uno dei lati più soprendenti e peculiari delle donne, di cui poco si parla giacchè molte delle attenzioni mediatiche sono concentrate su altri lati (B).
Questo lato è il coraggio. The help è un film sul coraggio: non quello dell'impresa eroica che imprime nella storia il nome di chi l'ha compiuta (di solito un uomo), ma quello spicciolo, del quotidiano, quello giocato sul piano dell'emozione, del sentimento, dell'intuito, dell'empatia. Il coraggio di interrogarsi, di mettere (e mettersi) in discussione, di trovare le parole, le proprie e quelle degli altri, e farle uscire. E' la storia di una giovane ragazza della provincia americana opulenta, razzista, cattolica, benpensante, che riserva ai negri bagni separati. Diversamente dalle coetanee, bambine che fanno bambini, lei non pensa ad accasarsi: lei vuole fare un lavoro in cui crede, la giornalista, e vuole dar voce a loro, ai negri, in un'epoca in cui incoraggiare l'uguaglianza razziale era considerato fuori legge.
Il tema si presta ad una facile retorica e qualche critico sopraffino potrebbe affermare che il film ha scelto una strada ruffiana per conquistare il pubblico; forse sì, ma le attrici sono magistrali, dalle protagononiste alle comprimarie, ed è in questa eccelsa prova corale che risiede la forza e l'originalità del messaggio del film.
"A volte il coraggio salta una generazione"...andate a vedere il film e ditemi se in questo punto siete riusciti a trattenere le lacrime. Lacrime liberatorie e catartiche, anche loro spese volentieri.

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sabato 21 gennaio 2012

Dulcis in fundo cum limone

Ecco un'idea per concludere degnamente un fiero pasto con un dessert che non appesantisce e anzi "depura" (o meglio, per onestà, regala questa soave illusione). Ho trovato la ricetta in un bel libro intitolato Il club delle cuoche.
Vi occorreranno pochi semplici ingredienti; la ricetta è peraltro facile da ricordare e molto semplice da eseguire.
1 l di acqua
4 limoni biologici non trattati
4 etti di zucchero
4 uova
60 g di maizena o fecola
1 pizzico di pazienza in fase mescolatoria
Grattate la parte gialla della scorza dei limoni. Suggerimento per chi come me ha un rapporto difficile con la grattugia: rivestitela con un pezzo di carta da forno , in questo modo eviterete che l'80% della vostra fatica finisca tra i dentelli dell'odiato marchingegno. Spremete i limoni.
Mettete in una pentola lo zucchero e le uova intere, amalgamate quel tanto che basta e aggiungete il succo dei limoni. Sciogliete la maizena/fecola nell'acqua fredda (RIGOROSAMENTE! In acqua calda si scioglie con più difficoltà e spesso nella preparazione resta quel nauseamondo sentore di amido), versate il tutto nella pentola insieme alle scorze dei limoni.
Ecco, è il vostro momento: fuoco basso, cucchiaio (ideali quelli in silicone), pazienza. Ci vorrà il suo tempo: 20 minuti all'incirca, in cui dovrete mescolare con delicatezza "pescando" anche sul fondo della pentola per evitare che il composto si attacchi. Ma io credo che 20 minuti di silenzio, in cui fissare il giallo intenso della crema, mescolare ritmicamente e lasciar galoppare il cervello su quei pensieri che di norma si lasciano nel retrobottega, presi come siamo dalla frenesia quotidiana...beh, io credo siano un privilegio di cui andar riconoscenti. E poi il momento arriva: magia, sembra impossibile, ma la crema si addensa, il cucchiaio si vela, qualche bollicina in superficie, un meraviglioso aroma di limone: è fatta!
Spegnete il fuoco, lasciate raffreddare (meglio travasare in un contenitore di vetro o ceramica). Servite da sola o (meglio) ben accompagnata mescolandola alla frutta, una reinterpretazione originale della classica macedonia...oppure, chessò, versata sui frutti di bosco, a braccetto con qualche meringa o amaretti o lingue di gatto. I vostri commensali vi ameranno.

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lunedì 16 gennaio 2012

Guarda i muscoli del capitano

Batti le mani anche tu! O se proprio non vuoi condividere l'euforia collettiva per l'ultima furbata, girati dall'altra parte, zitto e mosca. E' criminale? E' rischioso? E' illogico? Certo. Ma è più comodo, è più spassoso, è più economico.
Accidenti! Qualcosa è andato storto: una svista, un errore, una fatalità, così facile da prevedere come da ignorare, prima che accada, ed ecco la tragedia.
Alza le mani al cielo, palmi ben aperti, gomiti piegati a 90 gradi. Scuoti la testa: tu non c'entri nulla. Dispiega poi l'indice della mano destra, punta il dito: è stato lui, tu non ne sapevi nulla. Non hai neanche mai battuto le mani. Anzi, lo hai sempre detto tu che era criminale, era rischioso, era illogico.
Benvenuto, ti sei appena iscritto allo sport nazionale: la profezia post eventum, lo scaricabarile, il giochino del faccio finta di niente fino a che non ci scappa il morto.
Rischioso, criminale, illogico costruire palazzi di cartapesta in una zona sismica. Ma costa meno, chi se ne accorge, chi se ne frega. Furbo chi risparmia e si arricchisce. Fino a che la scossetta arriva, tutto crolla e a quel punto non resta che dire che si sarebbe dovuto far meglio.
Navi da crociera come paesi galleggianti, enormi iceberg di ferro e gasolio che fanno la gimcana tra gli scogli per salutare un'isola o i canali di Venezia, per accontentare chi vuole vedere più da vicino, chi vuole mandare un saluto o battere le mani. Certo non serve la patente nautica per intuirne i rischi, non serve una laurea in biologia per comprendere quanto sia inquinante e dannoso per gli ecosistemi. Eppure la follia continua, zitto e mosca. Applausi scroscianti per il capitano, che fa volteggiare il bestione come fosse una ballerina sulle punte. Ma in un attimo, un inghippo, il solito imprevisto prevedibile. E l'eroe del volteggio diventa il più orribile dei mostri; nessuno lo conosceva, nessuno lo incoraggiava, nessuno lo applaudiva. Cortei, indignazione, non succederà mai più. Peccato sia dovuto accadere una volta di troppo prima di tanta risolutezza.
Una leggerezza che nessuno gli perdonerà, una sbruffonata che forse lui e tanti altri avevano già fatto decine di volte; un codardo, a quanto si apprende, che in preda al panico cerca solo di mettersi in salvo come un uomo qualsiasi avrebbe fatto, ma come non dovrebbe mai fare il capitano di una nave. Pagherà ed è giusto, ma non posso fare a meno di pensarlo come un furbetto fra i tanti, come il guappo fra i tanti che corre su un'auto potente e finisce per investire un bambino. Che spesso in Italia diventa alieno ed ingiustificabile solo quando lo beccano.



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martedì 3 gennaio 2012

Quello che di Berlino non dicono

E dopo Hogmanay venne Silvester, il capodanno berlinese.
Su Berlino tempio della modernità, capitale culturale, giovane, brillante, vitale, trasformista, eclettica, si sprecano le recensioni estasiate. Tuttavia, dal visitatore che si mette in viaggio confidando di vedere qualcosa di memorabile perchè incomparabilmente bello, difficilmente quest'anima berlinese verrà colta a pieno.
Berlino è una città eterogenea, dove le ferite della storia hanno lasciato un segno profondo consegnandoci una città complessa da sintetizzare e descrivere; una città che per apprezzarla va forse sentita più ancora che vista. Questa per me era la seconda volta a Berlino e, come la prima, me ne sono andata con l'idea di non averla capita del tutto e auspicando di tornarci di nuovo per carpirne un altro pezzetto.
E tu? Tu che a Berlino non ci sei mai stato, tu che hai sentito dire che dovresti andarci, che è la meta più cool del momento: accanto alle decine di motivi per farlo, vuoi conoscerne almeno alcuni per non farlo? O almeno per partire preparato?
1) O tempora o mores. Se sei un indefesso estimatore dell'arte antica perchè loro-sì-che-sapevano-costruire-dipingere-scolpire sappi che sei fortunato: abiti nel Paese ideale per coltivare la tua passione, l'Italia. A Berlino la guerra ha raso al suolo quasi tutto, pertanto quasi tutto è ricostruito, spesso reinterpretato in chiave moderna.
2) Se la storia del Muro non ti appassiona e se con tutto il rispetto sei saturo di testimonianze sull'Olocausto, le tue probabilità di cogliere l'anima berlinese si ridurranno parecchio. La città è costellata di punti di interesse su questi temi (spesso ben fatti e totalmente gratuiti).
3) La Kaiser Wilhelm Gedachtniskirche, più famosa come "dente cariato", testimonianza angosciosa e sorprendente delle devastazioni della guerra, è attualmente in restauro e dunque rivestita completamente di impalcature e lo sarà almeno fino a metà del 2012.
4) Berlino è forse la patria della cultura alternativa, posta anche a misura di turista alla Kunsthaus Tacheles: se un personaggio che vende orecchini fatti con tappi a corona fumando e ascoltando musica potrebbe farvi venire l'orticaria l'atmosfera berlinese forse non fa per voi. Peraltro per il Tacheles pare si stia profilando un destino di sgombero: già ora l'area espositiva rispetto allo scorso anno è molto ridotta.
5) Il fermento culturale ha portato di recente a Berlino una mostra su Salvador Dalì, inizialmente concepita come temporanea poi diventata permanente. 11 euro che vi suggerisco di investire in 3 o 4 ottime birre tedesche. Ci saranno pure oltre 400 pezzi, ma si tratta in gran parte di schizzi, studi preparatori senza costrutto, che hanno un senso appesi al muro di qualche collezionista ma non in una mostra.
6) E infine...Capodanno a Berlino: istruzioni per l'uso. La città inizierà a scoppiettare di botti dalle 5 del pomeriggio. Nel perfetto stile di questi popoli compassati e silenziosi, semel in anno i più riterranno lecito tirarvi i petardi fra i piedi o lanciare nell'aere bottiglie di birra (vuote ovviamente). Non sognatevi di festeggiare sotto la Porta di Brandeburgo o anche solo nei dintorni se non vi ci apposterete ore prima di mezzanotte: la polizei sbarra tutti gli accessi e chi è dentro è dentro, chi è fuori si dedica alacremente alla guerriglia urbana. Il 1° gennaio nel Mitte sarà the day after tomorrow: bancarelle sparite, luminarie spente, negozi chiusi, sul campo di battaglia le vestigia dell'anno appena salutato, mozziconi di petardi e cocci di bottiglie.