Io le dissi ridendo -Ma signora Aquilone, non le sembra un po' idiota questa sua occupazione?
Lei mi prese la mano e mi disse -Chissà? Forse in fondo a quel filo c'è la mia libertà.

sabato 5 novembre 2011

W l'Italia assassinata dai mercati e dal cemento

Ieri l'Italia è colata a picco.
In barba ai ristoranti pieni dell'isola che non c'è abitata dal nostro premier, il fondo monetario ha messo l'Italia fra i sorvegliati speciali.
E a Genova è caduto un terzo della pioggia che mediamente su quella città cade in un anno e un fiume di fango l'ha travolta e dilaniata, così come qualche giorno fa era accaduto alle Cinque Terre.
Uno dei miei lavori consiste nell'andare nelle scuole ad approfondire alcuni temi ambientali: ai ragazzi dirò che il clima sta cambiando velocemente, che forse anche queste piogge dirompenti ne sono la spia. Dirò che l'umanità si è lanciata in pochi anni in una corsa senza precedenti e ha (s)travolto, essa per prima, tutto quello che ha trovato sul suo cammino: aria, fiumi, mari, terre, ecosistemi.
Ci siamo costruiti un dio e l'abbiamo chiamato PIL. Ci hanno detto che cementando, urbanizzando, deviando, prosciugando, costruendo, industrializzando, bruciando, producendo, comprando, espandendo, commerciando lo avremmo onorato e che il dio, pasciuto, ci avrebbe resi festosi e soddisfatti. Qualcuno probabilmente intuiva (o sapeva) che era una chimera ma la cieca rincorsa alla crescita ha alimentato l'opportunismo ottuso.
Adesso che festosi e soddisfatti non lo siamo proprio, adesso che da noi sono arrivate le piogge tropicali e i fiumi vengono a riprendersi la terra che gli abbiamo strappato, ebbeme, ora tutti sanno. O almeno tutti coloro che occupano i palazzi della politica, della pubblica amministrazione, degli enti economici, e che dovrebbero assumersi l'onere di spiegare alla gente comune che un cambio di prospettiva è d'obbligo e che è l'unica strada che può (forse) salvarci dallo sfascio.
Ma il dio PIL esige ancora le sue vittime sacrificali: oggi sono i morti per le alluvioni della Liguria, domani saranno altri. E di tutti si dirà "povera gente" e a tante coscienze colpevoli basterà un "si sarebbe potuto evitare", ma il giorno dopo si ricomincerà a parlare di nuove strade e ponti e ferrovie e raccordi e cave e centri commerciali, residenziali, ricreativi, e condoni per cementare anche l'ultimo brandello di territorio. Diranno che l'economia deve girare, che solo così si uscirà dalla crisi, che dobbiamo crescere al di là di ogni logica sulla finitezza delle risorse. Chi protesterà sarà detto eversivo e quella fiaccola di buon senso sarà chiamata antipolitica.
   

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