Io le dissi ridendo -Ma signora Aquilone, non le sembra un po' idiota questa sua occupazione?
Lei mi prese la mano e mi disse -Chissà? Forse in fondo a quel filo c'è la mia libertà.

lunedì 22 novembre 2010

L'importanza di chiamarsi "dottorando"

Scorrendo le pagine di Repubblica sono incappata in un articolo che parla di me. Che emozione! Quasi come quando sento la parola "geologo" in un film.
Ok, il quadretto dipinto nell'articolo non è molto incoraggiante, ma almeno ho avuto la sensazione che qualcuno, al di fuori del ristretto mondo dell'università, "ci conosca". Raramente mi è capitato (un'eccezione, scioccante, quella a cui si riferisce l'immagine, di qualche mese fa).

Una delle poche volte è stata a Londra. Stavo andando verso l'aeroporto in taxi insieme ai miei zii, con cui mi ero regalata una breve vacanza. Il taxista mi raccontava che faceva quel lavoro da vent'anni, e che aveva scelto di fare i turni di notte per guadagnare di più. Ha chiesto anche a me cosa facessi, e io mi ero mentalmente preparata ad usare un giro di parole per spiegare che lavoro all'università, ma no, non sono ricercatrice, però sì, il mio lavoro è studiare, tuttavia no, niente di quello che studio finirà in un brevetto, non ne parlerà la televisione, non salverà delle vite umane, però sì, sono pagata per questo, ma faccio ANCHE un paio di lavori più NORMALI. Poi sarà che quando devo parlare in inglese sono pigra e insolitamente sintetica, sarà che ho inavvertitamente dato fiducia al taxista, fatto sta che ho semplicemente detto PhD student.
E...magia! Lui 1) ha saputo subito di cosa stessi parlando; 2) mi ha fatto i complimenti e mi ha detto che gli sembravo molto più giovane. Un uomo adorabile, insomma;) che mi ha portato peraltro a questa conclusione: quanto in Italia i dottorandi sono figure evanescenti, non ben codificate, costrette a volte a transitare nel mondo del lavoro sotto copertura, perchè altrimenti pensano questo marrano è arrivato a 30 anni senza cominciare a lavorare, tanto all'estero probabilmente sono lavoratori riconosciuti dagli altri lavoratori, inclusi i taxisti. E da loro rispettati e considerati con stima invece che con sospetto.

Piccola digressione per chi non è un taxista londinese, è curioso di sapere in cosa consiste l'attività del dottorando e/o vorrebbe tentare la strada del dottorato.
Il dottorando è uno studente. Studia qualcosa per cui è stato incaricato dal professore che lo segue, qualcosa che a quel professore interessa approfondire ma di cui nemmeno lui è esperto (altrimenti non gli servirebbe un dottorando). Facilmente sarà qualcosa di moooolto settoriale, qualcosa di cui difficilmente qualcuno di diverso dal suddetto professore e dalla ristretta cerchia di chi condivide lo stesso ambito di ricerca capirà l'importanza o addirittura il senso, ammesso che ne abbia.
Il mio è un lavoro privilegiato perchè non ho nessun "capo" che mi guarda storto se capisce che sto cazzeggiando. In verità non ho nessun capo (nè coda direbbe qualcuno). Non ho nessuno che mi dice che devo essere al lavoro alle 9, e infatti qualche volta arrivo anche più tardi. Nessuno che mi dice quando devo andare via, o meglio quando non devo andare via. Tecnicamente posso anche rimanermene a casa. L'unica cosa che devo fare è consegnare la mia tesi fra un paio di mesi, e se invece che occuparmi di questo me ne sto qui a cazzeggiare sarà solo allora che qualcuno, forse, se la prenderà con me. Questo stesso vantaggio può a volte trasformarsi in un'arma a doppio taglio, perchè la totale assenza di imposizioni, è noto, determina il caos. E a volte non è semplice relazionarsi con il caos.
Non aspettatevi comunque, cari aspiranti dottorandi, che qualcuno sappia cosa dobbiate fare; dovete saperlo voi, o meglio, auspicabilmente, lo scoprirete. Passerete i primi mesi (o il primo anno, se non di più) a domandarvi cosa dovete esattamente fare e, nei momenti migliori, a fare ricerca bibliografica su quello che qualcuno prima di voi ha detto su quell'argomento. Leggerete decine di articoli di cui non vi ricorderete nemmeno l'autore, figuriamoci il contenuto! Sarete circondati da persone che danno per scontato che voi sappiate gestirvi, quando probabilmente ancora all'università i professori vi hanno accompagnato come scolaretti lungo la strada della conoscenza.
Imparerete l'inglese, questo sì, perchè raramente gli articoli di cui sopra saranno in italiano. Se sarete fortunati viaggerete e sarete spesati; se lo sarete meno viaggerete lo stesso ma vi dovrete arrabbattare per le spese, risparmiando al centesimo, mettendo soldi di tasca propria, sottoponendo il vostro progetto di ricerca financo al concorso di poesie dialettali della parrocchia nella speranza di ricevere un obolo (come avrete inteso, questo è il mio caso). Se non sarete fortunati non viaggerete, e questo è un peccato, perchè viaggiare, soprattutto per lavoro, è un'opportunitò per imparare ad adattarsi e ad avere uno sguardo più critico e consapevole sul mondo.
I mesi passeranno tra giornate in cui non avrete fatto assolutamente niente ed altre in cui in un giorno avrete faticosamente scitto un'intera pagina di qualcosa che il vostro professore vi stravolgerà da cima a fondo, ad altre ancora che passerete dentro un laboratorio nella frenesia di finire senza sapere esattamente a qual fine. 
All'alba del terzo e ultimo anno avrete forse imparato a coltivare il vostro piccolo, minuscolo appezzamento di terreno nel mare magnum della ricerca. Avrete imparato che un poster non è solo quello con le boy band esposto nelle camerette di quando eravate giovani. Saprete maneggiare qualcosa di cui non sapete nulla e destreggiarvi fino a capire per lo meno da che parte guardarlo, e questo sarebbe un buon potenziale per qualsiasi lavoro.
Sarebbe, perchè molto probabilmente la vostra borsa di studio finirà, dovrete mettere in conto almeno un paio di mesi non pagati in cui lavorerete alla discussione finale, ovvero sarete in bilico tra il dottorato e la disoccupazione. Discussione, applausi, bravo, bis, e poi via, col titolo in tasca, verso altri lidi.


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