Io le dissi ridendo -Ma signora Aquilone, non le sembra un po' idiota questa sua occupazione?
Lei mi prese la mano e mi disse -Chissà? Forse in fondo a quel filo c'è la mia libertà.

martedì 30 novembre 2010

Macchina del pane...sì, no, forse

Macchina del pane Severin 3983
Ebbene sì, possiedo una macchina del pane. Esattamente quella nell'immagine. E' uno dei modelli più economici, io l'ho pagata circa 50 euro. Ne esistono alcune molto più costose, che probabilmente -ma non è detto- sono anche più efficienti. Con questa macchina potete ottenere pani a bauletto da 500g, 750 g e 1 kg. Ha una sola lama impastatrice (le migliori ne hanno due), è programmabile, prevede il programma di solo impasto e può essere usata anche per produrre le marmellate.

Ultimamente delle macchine del pane si sente parlare abbastanza spesso, complici forse l’aumento dei prezzi e l’onnipresente spettro della “crisi” (votata come parola del 2009). Vi sarete forse chiesti se valga la pena acquistarla. 
Per quanto riguarda le macchine del pane di standard medio, come la mia, ecco la mia opinione. 
Una premessa generale. La macchina del pane è un elettrodomestico e come tale comporta costi (ambientali ed energetici) insiti nella produzione e nello smaltimento. Acquistatela quindi soltanto se intendete realmente utilizzarla e pensate che, in base alle vostre esigenze, abitudini e tempo, possano sussistere dei vantaggi, anche in termini di buone pratiche ambientali. Se ad esempio pensate che con la macchina del pane riuscirete a ridurre il ricorso a crackers, pan carrè, fette biscottate e altri pani "artificiali" (e relativi imballaggi, costi di trasporto, etc), allora vale la pena acquistarla. Ovviamente ogni macchina del pane ha un consumo elettrico, ma molto contenuto. Io non sono brava con le conversioni e i calcoli, pertanto vi rimando volentieri all'esperimento di un mio collega blogger, molto più zelante di me. Allo stesso link trovate anche un calcolo dei costi totali del pane autoprodotto con la macchina del pane: 0,80 euro/kg. Considerando i prezzi all'acquisto del pane, che corrispondono almeno al doppio di questo prezzo se non molto di più (per non parlare delle panosità confezionate!), sicuramente il risparmio c'è.
Veniamo ora alle prestazioni di una media macchina del pane: cerchiamo di dipanare dubbi, disilludere aspettative e tracciare un quadro realistico.
Se mangiate il pane tutti i giorni, vi siete abituati a quello leggero e croccante del fornaio, non avete voglia/tempo di sperimentare alla ricerca della vostra ricetta ideale, oppure il pane fatto in casa già lo realizzate e amate l’atto stesso dell’impastare e non ci rinuncereste mai, allora evitate l’acquisto. Con la macchina del pane si possono ottenere odorosi morbidi pani, con le loro brave bolle d’aria, ma probabilmente, anche con la migliore delle ricette, non “leggeri” come quelli del fornaio, ma può capitare che escano anche pesantissimi nuclei di materia simili a piombo fuso, assolutamente immangiabili. Molto dipende dalla ricetta, e dalla voglia di provare e riprovare. Un aspetto molto importante è la scrupolosa successione degli ingredienti che la ricetta indica; in genere, liquidi, farina, sale, zucchero e da ultimo il lievito. Un vantaggio del pane fatto in casa rispetto a quello del fornaio è che quest'ultimo è sì in genere più leggero e friabile, ma spesso il giorno dopo, per non dire giorni dopo, diventa quasi immangiabile (duro, secco, gommoso, etc), mentre il pane autoprodotto con la macchina, se conservato avvolto in un panno, magari in frigorifero, dura dignitosamente alcuni giorni. 
Il bello della macchina del pane è che basta pesare gli ingredienti appoggiando direttamente sulla bilancia la ciotola incorporata, programmare e lasciare che sia “lei” a fare tutto, senza sporcare taglieri, ciotole, stoviglie.  Questo aspetto è molto comodo anche per il programma "solo impasto", che vi consente ad esempio di ritrovarvi una pasta per la pizza perfetta al ritorno dal lavoro, solo da stendere e infornare! Sì, perchè la macchina del pane è programmabile, in genere fino a 12 ore in anticipo. Potete quindi permettervi di coltivare voluttuosi pensieri su colazioni a base di pane appena sfornato...
Un'ultima cosa: lasciate perdere gli impasti dolci (almeno quelli che necessitano di essere frollosi), quelli è meglio farli a mano!

domenica 28 novembre 2010

Il liquore all'uovo, altrimenti detto il Vovve

Attenzione, non il Vov, il Vovve, come lo chiamava, toscanizzandone il nome commerciale, una mia anziana parente. E dunque la ricetta che sto per darvi è quella del Vovve, un liquore leggero, casalingo, gustosissimo e di facilissima preparazione. Qualcosa da preparare un giorno che si abbia una mezz'ora di tempo, da tenere per sè o da regalare. Ecco come lo preparo:

250 g + 3 cucchiai di zucchero semolato
1 l di latte intero
100 ml Marsala
100 ml alcool per liquori
4 tuorli d'uovo (va da sè che le uova devono essere molto fresche)
una stecca di vaniglia (facoltativa)

Portate ad ebollizione (e poi spegnete) il latte e 250 g di zucchero, eventualmente aggiungendo la stecca di vaniglia, che ha sempre la sua personalità. Parentesi: visto il costo esorbitante di questa materia prima, "spremetela" al massimo, ovvero tagliatela a metà e usate le due metà almeno 2 o 3 volte, dopo averle accuratamente lavate. Dopodichè incidetele ed estraetene i semini, anch'essi molto aromatici, e infine utilizzate i baccelli così aperti ancora un paio di volte.
Nel frattempo montate i tuorli con 3 cucchiai di zucchero: dovete ricavare una bella crema spumosa, color giallo chiaro. Ci vorranno almeno 10 minuti di frusta elettrica. Aggiungete delicatamente il marsala.
Quando il latte sarà tiepido (e avrete tolto la stecca di vaniglia) unitevi le uova sbattute col marsala e infine l'alcool. In questi casi è sempre meglio abbattere la temperatura velocemente, quindi invece che lasciar raffreddare il latte a temperatura ambiente ed escludendo di far faticare il frigorifero, suggerisco di posizionare il pentolino col latte bollente dentro una bacinella di acqua fredda, in cui eventualmente potrete mettere anche ghiaccio o pastiglie di ghiaccio sintetico.
Potete a questo punto imbottigliare, meglio in una bottiglia scura, o comunque avendo cura di conservare il liquore al riparo dalla luce. Dopo alcuni giorni diventa più denso e gustoso, ma è buono anche subito.

Una postilla. OVVIAMENTE NON SOGNATEVI DI BUTTARE GLI ALBUMI!!!!!!!!!
Oltre ad utilizzarli per frittate e polpette, gli albumi possono servire per ricavare dei meravigliosi frollini e sono la materia prima per le meringhe, erroneamente ritenute difficili da fare in casa. Tenete presente che gli albumi si possono anche congelare conservandoli in un contenitore e riutilizzare con calma (per le meringhe però preferiteli sempre freschissimi). Ma il modo più semplice per "riciclare" gli albumi che avanzano dalla preparazione del Vovve (o di zabaioni o simili) è la minestra di albumi.
Montate gli albumi a neve con un pizzico di sale (la spuma deve essere molto compatta). Unite un cucchiaio di parmigiano per ogni albume, mescolandolo delicatamente al composto. Versate il composto a cucchiaiate nel brodo bollente (di carne o vegetale).
E' una minestra contadina, piuttosto povera, una rielaborazione in chiave ancor più frugale di quella che in molte regioni viene chiamata Stracciatella, ma è un piatto leggero e piacevolissimo.

English version:
This low-alcoholic lovely liquor is very easy to prepare and perfect as a present: it is in fact usually appreciated even by people who are not used to drink alcoholics.
This is what you need:
250 g + 3 spoons of sugar
1 l of milk
100 ml of Marsala
100 ml of pure alcohol for spirits
4 yolks (of course eggs have to be very fresh)
Some vanilla (optional)

Slightly boil and immediately turn off the milk together with 250 g of sugar (if you want add some vanilla). In the meantime beat the yolks with 3 spoons of sugar: you should obtain a light-yellow colored frothy cream. You may need at least 10 minutes. At the end, add carefully the Marsala.
When the milk is tepid, add the yolks with the Marsala and then the alcohol. It’s a good idea to put the pot with all the ingredients in a bowl filled with cold water in order to minimize the risk of bacterial contamination.
Put the liquor in a bottle, better if it is dark or in any case kept protected from direct light. This liquor is immediately delicious but in some days it becomes even denser and rather more delicious.

La società degli utilizzatori finali

Il mercato dei produttori locali: ogni venerdì pomeriggio al parco Ferrari di Modena 



Prima neve dell'inverno 2010-2011 a Modena. Giornata spalpuccia e pungente, per me cominciata, con mio comodo, alle 13.30 (privilegi dell'oggi non ho nessun motivo di puntare la sveglia). Pranzo veloce e poi anfibi e autobus, verso la mostra-mercato sulla filiera corta.
Comprare secondo una modalità a filiera corta significa tagliare i km, le emissioni, gli inquinanti, l'energia, i costi dovuti agli intermediari che ci sono tra noi e quello che mangiamo, o in generale consumiamo. Comprare insomma prodotti locali, possibilmente biologici.
Ho partecipato a questa iniziativa principalmente per seguire la conferenza di un'autrice che conoscevo, Marinella Correggia, una persona molto disponibile e gentile, che oltre a condividere coi presenti le sue riflessioni ha offerto una torta e una salsa fatte da lei, con ingredienti semplici e sorprendenti, entrambe ottime.
Sono tornata a casa pensando che una buona idea rimane qualcosa di cristallizzato e sterile se non viene condivisa. Personalmente posso avere deciso di bere solo acqua del rubinetto, di fare la raccolta differenziata e di migliorarmi ogni giorno nel farla, di ridurre i miei rifiuti tramite l'autoproduzione e il riutilizzo, l'eliminazione o la riduzione di alimenti lavorati (surgelati, scatolame, dolci confezionati, etc), di scegliere più spesso la bici o l'autobus, di accarezzare l'idea di un lavoro che mi basti per vivere lasciandomi però il tempo di vivermela questa benedetta vita!...ma tutto questo ha poco senso se resta una scelta fra me e me. Se conosci quale sia il comportamento più sostenibile, dillo al tuo vicino perchè lui potrebbe non saperlo. Questo è in buona parte lo spirito che vorrei dare al mio blog.
Marinella Correggia ha definito i consumatori, o almeno alcuni di loro, "utilizzatori finali", prendendo a prestito un'espressione ben nota, riferita a ben noti contesti, e secondo me molto calzante. L'utilizzatore finale può fare spallucce e scuotere la testa, lui non sapeva, lui non credeva, lui non poteva immaginare che l'oggetto di cui si serviva avesse un'illecita o quantomeno dubbia provenienza. Il consumatore che compra senza sapere da dove venga e come sia prodotta la merce che acquista, che ignora quali costi occulti abbia questa merce in termini energetici e in generale ambientali, e spesso anche sociali, è un utilizzatore finale. Io voglio impegnarmi ad essere un po' meno utilizzatore finale e un po' più creatore iniziale. Voglio conoscere la storia dal principio, sapere chi ne sono gli artefici, voglio discriminare e decidere.

venerdì 26 novembre 2010

Perchè sposerò Niccolò Ammaniti

Come al solito arrivo tardi sui libri, come sulle canzoni. Possiedo un cd di Roberto Vecchioni (e questo è solo il primo esempio che mi viene in mente) con alcune canzoni che non conosco ed è lì da anni, inascoltato, perchè quando mi affeziono a un cantante, alle sue canzoni, non ho mai voglia di ascoltarne di nuove; mi sembra di sottrarre tempo all'ascolto di quelle che già so e che amo. Coi libri è lo stesso. Ho adorato "Io non ho paura" e "Branchie", e alcuni racconti di "Fango"; ho sentito parlare Niccolò Ammaniti, l'ho sentito leggere un suo esilarante racconto inedito. Basta, non avevo bisogno di sapere altro per dire che mi piaceva tantissimo.

Sono quindi approdata a questo libro in ritardo di anni dalla sua pubblicazione e non posso che confermare la genialità di questo scrittore.
Non fate come me: leggetelo subito!

E’ una vicenda che si consuma in pochi mesi e si dipana in un flash back talmente fitto di eventi e di personaggi e di pensieri e di divagazioni esilaranti che quando si arriva alla fine ci si ritrova spiazzati dall’antefatto, che pure già si conosceva. Per buona parte del libro si leggono storie di personaggi che si sfiorano soltanto, e sono talmente ben costruite che lo si fa senza bisogno di farsi domande, e solo più avanti nella lettura si comprendono i legami, orditi in maniera esemplare. Si ride con questo libro, si ride soprattutto del personaggio simbolo e cioè Graziano Biglia, un forever young coi capelli lunghi ostinatamente biondi e ostilmente radi sulle tempie, un musicista giramondo che si vanta di essere stato insignito in quel di Riccione della prestigiosa coppa Trumbador. Ci si intenerisce di fronte alle vicende di un ragazzino timido costretto in una famiglia distante, padre alcolizzato, madre depressa, un contesto però raccontato con gli occhi di un dodicenne, che rende il quadro più leggero e al tempo stesso più amaro. Ci si appassiona ad una storia d’amore, avvicinandosi a cuor contento alla fine del romanzo, che promette proprio bene. Ma le promesse sono fatte per non essere mantenute.

giovedì 25 novembre 2010

Lotta al surgelato: la pasta brisè la faccio da me

La pasta brisè (salata) è un ottimo alleato in cucina, perchè serve da base per un'infinità di torte salate (con le verdure, i funghi, la pancetta, i formaggi e chi più ne ha più ne metta!) che possono essere servite come antipasto o secondo, sono comodissime anche come piatto da pic-nic e possono essere preparate anche svariati giorni prima senza perdere di bontà (anzi!). Inoltre può servire per confezionare gustosissimi salatini.
Suggerisco quindi di imparare a farla e di non comprarla surgelata, perchè per mantenere la cosiddetta "catena del freddo" serve molta energia, vi portate a casa imballaggi inutili, la pagate di più e non è affatto più buona di quella che potete imparare a fare da soli.
Io ci metto:

200 g di farina 00 (ma anche 0 non cambia molto)
100 g di burro morbido
1 cucchiaino di sale
1 po' d'acqua fredda

Come tutte le frollosità, dolci o salate che siano, il segreto è impastare poco e velocemente (quindi non trovate la scusa di non avere tempo!); completamente diverso in questo dal procedimento che si usa per le paste lievitate come ad esempio quella della pizza.
Dunque mettete la farina in una terrina o sul tagliere, unite il cucchiaino di sale e distribuite il burro a tocchetti. Cominciate quindi a fare con le dita delle bricioline di burro e farina che inizialmente non devono stare insieme a formare un unico pastone. Quando sarete soddisfatti delle vostre briciole sarà l'acqua a fare la magia. Mettetene poca alla volta e provate ad unire le briciole; non ne servirà più di mezzo bicchiere, ma se eccedete aggiungete un po' di farina. Quando il panetto starà insieme e sarà omogeneo la pasta è pronta! Se avete tempo fatela riposare un quarto d'ora in frigorifero, altrimenti ce la potete comunque fare (soprattutto se non fa troppo caldo).
Con queste dosi si fodera una normale tortiera.

Per stenderla consiglio di usare due fogli di carta da forno, uno sotto e uno sopra, e tirarla con il mattarello. Per domare la carta da forno ed evitare che si arrotoli odiosamente su stessa, appallottolatela e bagnatela con poche gocce d'acqua.
I ripieni per le torte salate possono essere molteplici e personalmente li considero il regno dell'anarchia gastronomica e la via maestra per nobilitare un'infinità di avanzi. I principi base in generale sono: 1) scegliere un tipo di verdura e passarlo prima in padella ad ammorbidire; 2) non far mancare il formaggio, che può essere parmigiano grattugiato e/o uno spalmabile e/o cubetti di un formaggio più sodo; 3) le cipolle già da sole fanno un capolavoro e in generale sono un prelibato ed economico modo per contribuire alla farcitura; 4) il buon ripieno deve essere un buon equilibrio tra umido e asciutto, aggiungete quindi un uovo e un po' di pangrattato (non troppo).
Prossimamente posterò qualche ricetta più precisa, ma adesso dedico gli ultimi secondi prima della cena (tardiva) ad un'idea rapida, di grande effetto sia scenico che gustativo per utilizzare la vostra pasta brisè: i salatini!
Tirate la pasta sottile e ricavate delle striscie alte circa 8 cm e da queste dei triangoli (vedi foto). Ora date sfogo alla vostra fantasia e lasciate che sia anche il vostro frigo a parlare: cosa contiene di stuzzicante? magari dimenticato ma non ancora scaduto? Un modo semplicissimo per riempirli è fondere un po' di burro, spennellarlo sui triangolini e spolverizzare con timo, semi di sesamo o di papavero, rosmarino, salvia, etc...Altrimenti potete metterci straccetti di prosciutto crudo, aggiughe, wurstel, cipolla abbrustolita...insomma, quello che vi pare o quasi. Se volete che i salatini risultino più marroncini in superficie pennellateli con tuorlo o albume d'uovo, o latte. Arrotolate e infornate a 180 °C per circa 20 minuti.

I triangolini di pasta brisè...
...i salatini!















lunedì 22 novembre 2010

L'importanza di chiamarsi "dottorando"

Scorrendo le pagine di Repubblica sono incappata in un articolo che parla di me. Che emozione! Quasi come quando sento la parola "geologo" in un film.
Ok, il quadretto dipinto nell'articolo non è molto incoraggiante, ma almeno ho avuto la sensazione che qualcuno, al di fuori del ristretto mondo dell'università, "ci conosca". Raramente mi è capitato (un'eccezione, scioccante, quella a cui si riferisce l'immagine, di qualche mese fa).

Una delle poche volte è stata a Londra. Stavo andando verso l'aeroporto in taxi insieme ai miei zii, con cui mi ero regalata una breve vacanza. Il taxista mi raccontava che faceva quel lavoro da vent'anni, e che aveva scelto di fare i turni di notte per guadagnare di più. Ha chiesto anche a me cosa facessi, e io mi ero mentalmente preparata ad usare un giro di parole per spiegare che lavoro all'università, ma no, non sono ricercatrice, però sì, il mio lavoro è studiare, tuttavia no, niente di quello che studio finirà in un brevetto, non ne parlerà la televisione, non salverà delle vite umane, però sì, sono pagata per questo, ma faccio ANCHE un paio di lavori più NORMALI. Poi sarà che quando devo parlare in inglese sono pigra e insolitamente sintetica, sarà che ho inavvertitamente dato fiducia al taxista, fatto sta che ho semplicemente detto PhD student.
E...magia! Lui 1) ha saputo subito di cosa stessi parlando; 2) mi ha fatto i complimenti e mi ha detto che gli sembravo molto più giovane. Un uomo adorabile, insomma;) che mi ha portato peraltro a questa conclusione: quanto in Italia i dottorandi sono figure evanescenti, non ben codificate, costrette a volte a transitare nel mondo del lavoro sotto copertura, perchè altrimenti pensano questo marrano è arrivato a 30 anni senza cominciare a lavorare, tanto all'estero probabilmente sono lavoratori riconosciuti dagli altri lavoratori, inclusi i taxisti. E da loro rispettati e considerati con stima invece che con sospetto.

Piccola digressione per chi non è un taxista londinese, è curioso di sapere in cosa consiste l'attività del dottorando e/o vorrebbe tentare la strada del dottorato.
Il dottorando è uno studente. Studia qualcosa per cui è stato incaricato dal professore che lo segue, qualcosa che a quel professore interessa approfondire ma di cui nemmeno lui è esperto (altrimenti non gli servirebbe un dottorando). Facilmente sarà qualcosa di moooolto settoriale, qualcosa di cui difficilmente qualcuno di diverso dal suddetto professore e dalla ristretta cerchia di chi condivide lo stesso ambito di ricerca capirà l'importanza o addirittura il senso, ammesso che ne abbia.
Il mio è un lavoro privilegiato perchè non ho nessun "capo" che mi guarda storto se capisce che sto cazzeggiando. In verità non ho nessun capo (nè coda direbbe qualcuno). Non ho nessuno che mi dice che devo essere al lavoro alle 9, e infatti qualche volta arrivo anche più tardi. Nessuno che mi dice quando devo andare via, o meglio quando non devo andare via. Tecnicamente posso anche rimanermene a casa. L'unica cosa che devo fare è consegnare la mia tesi fra un paio di mesi, e se invece che occuparmi di questo me ne sto qui a cazzeggiare sarà solo allora che qualcuno, forse, se la prenderà con me. Questo stesso vantaggio può a volte trasformarsi in un'arma a doppio taglio, perchè la totale assenza di imposizioni, è noto, determina il caos. E a volte non è semplice relazionarsi con il caos.
Non aspettatevi comunque, cari aspiranti dottorandi, che qualcuno sappia cosa dobbiate fare; dovete saperlo voi, o meglio, auspicabilmente, lo scoprirete. Passerete i primi mesi (o il primo anno, se non di più) a domandarvi cosa dovete esattamente fare e, nei momenti migliori, a fare ricerca bibliografica su quello che qualcuno prima di voi ha detto su quell'argomento. Leggerete decine di articoli di cui non vi ricorderete nemmeno l'autore, figuriamoci il contenuto! Sarete circondati da persone che danno per scontato che voi sappiate gestirvi, quando probabilmente ancora all'università i professori vi hanno accompagnato come scolaretti lungo la strada della conoscenza.
Imparerete l'inglese, questo sì, perchè raramente gli articoli di cui sopra saranno in italiano. Se sarete fortunati viaggerete e sarete spesati; se lo sarete meno viaggerete lo stesso ma vi dovrete arrabbattare per le spese, risparmiando al centesimo, mettendo soldi di tasca propria, sottoponendo il vostro progetto di ricerca financo al concorso di poesie dialettali della parrocchia nella speranza di ricevere un obolo (come avrete inteso, questo è il mio caso). Se non sarete fortunati non viaggerete, e questo è un peccato, perchè viaggiare, soprattutto per lavoro, è un'opportunitò per imparare ad adattarsi e ad avere uno sguardo più critico e consapevole sul mondo.
I mesi passeranno tra giornate in cui non avrete fatto assolutamente niente ed altre in cui in un giorno avrete faticosamente scitto un'intera pagina di qualcosa che il vostro professore vi stravolgerà da cima a fondo, ad altre ancora che passerete dentro un laboratorio nella frenesia di finire senza sapere esattamente a qual fine. 
All'alba del terzo e ultimo anno avrete forse imparato a coltivare il vostro piccolo, minuscolo appezzamento di terreno nel mare magnum della ricerca. Avrete imparato che un poster non è solo quello con le boy band esposto nelle camerette di quando eravate giovani. Saprete maneggiare qualcosa di cui non sapete nulla e destreggiarvi fino a capire per lo meno da che parte guardarlo, e questo sarebbe un buon potenziale per qualsiasi lavoro.
Sarebbe, perchè molto probabilmente la vostra borsa di studio finirà, dovrete mettere in conto almeno un paio di mesi non pagati in cui lavorerete alla discussione finale, ovvero sarete in bilico tra il dottorato e la disoccupazione. Discussione, applausi, bravo, bis, e poi via, col titolo in tasca, verso altri lidi.


domenica 21 novembre 2010

Raviolacci al radicchio rosso con speck e noci

Oggi la mia dolce metà è volata a qualche migliaia di chilometro, è tutto il giorno che piove, e dunque non c’è niente di meglio che dedicare l’intero giorno alla cucina per sanare qualsiasi eventuale cedimento alla malinconia.
In onore quindi degli ospiti di questa sera ho messo a punto il seguente menù:
  • salatini home-made con cocktail alla melagrana
  • raviolacci al radicchio rosso con speck e noci
  • roast beef con patate
  • tortino di cipolle con salsa al gorgonzola
Niente dolce, a quello ci pensano gli ospiti.
Dedico il primo post al piatto forte della cena, i “raviolacci”.

I ravioli/tortelli sono secondo me un’ottima idea per confezionare un primo piatto che comunichi all’ospite un’idea di cura e dedizione senza però risultare eccessivamente complessi. Questi li ho chiamati raviolacci perché ho sperimentato l’aggiunta di farina integrale nella sfoglia, che conferisce un aspetto più rustico al piatto. Questa ricetta è di mia invenzione. Ecco cosa vi occorre.

RIPIENO:
1 radicchio rosso di quelli rotondi
1 porro/scalogno/mezza cipolla (ma quest’ultima è meno delicata)
Tanto buon parmigiano
Poco pan grattato
Due cucchiai di ricotta (facoltativi)
Mezzo bicchiere di vino bianco o birra + 1 punta di zucchero
Olio d’oliva, sale e pepe

Tritate con la mezzaluna la cipollosità prescelta (per i triti eviterei il mixer perché più che tritare maciulla e gli ingredienti si offendono); io ho scelto il porro. Mettete il trito in padella con poco olio (circa 2 cucchiai), sale e pepe a discrezione.  Fate appassire e aggiungete poi il radicchio tagliato a listarelle, completate con il bicchiere di alcolico (io in casa avevo la birra e quella ho usato) e la punta di zucchero, coprite e lasciate stufare per circa 10-15 minuti.
Quando i radicchi si saranno ben rammolliti, spegnete il fuoco e aspettate che si raffreddino. A questo punto tritateli (questa volta col mixer) aggiungete tanto parmigiano in modo che il composto si asciughi e acquisti sapore, completate con circa 2 cucchiai di pan grattato e –se volete, se ne avete in casa, se vi piace- 2 cucchiai di ricotta, che addolcisce un po’. Secondo me molti altri formaggi spalmabili possono starci altrettanto bene. Suggerisco sempre di ottimizzare quello che si ha nel frigorifero.
Il ripieno è pronto. Ovviamente potete prepararlo anche con parecchio anticipo; io l’ho fatto il giorno  prima.

SFOGLIA, il procedimento è noto o si recupera in qualsiasi manuale. Io ci ho messo questo
 400 g di farina di semola rimacinata
100 g di farina integrale
5 uova
2 cucchiaini di sale

Immagino che con una normale farina si possano ottenere comunque buoni risultati, ma io per la sfoglia preferisco la semola e in particolare quella rimacinata (che è più fine della semola normale), che acquisto in uno storico negozio di Modena dove si trovano sfusi tutti i tipi di farina.
Quella della farina integrale è invece una trovata di oggi, e l’effetto estetico e il sentore di rustico sono ben riusciti, ma è assolutamente facoltativa.
Il raviolo, e a maggior ragione se è raviolaccio, può avere una pasta anche leggermente grossolana, quindi io mi sono fermata al punto 5 dell'Imperia. Per tortelli e tortellini preferisco una sfoglia più fine.
Con queste dosi vengono circa 60 ravioli di 4 cm di lato.  Io la considero una dose per 4 persone, massimo 5.
Il ripieno basta per riempirli tutti e ne avanza anche un pochino.

Io di qui a momenti condirò questi ravioli con speck, tagliato a cubetti e saltato in padella, e panna (quella liquida da montare, che si trova nel banco frigo). Alla fine aggiungerò un po’ di noci tritate.
Ritengo comunque che anche un onesto burro e salvia, o burro e noci siano un’ottima alternativa.

Molto bene...vado ad apparecchiare la tavola!