Ho finito questo libro proprio oggi, seduta su una panchina assolata di un parchetto in quel di Fanano, con le cime innevate a far capolino sullo sfondo.
C'è il colpo di scena, presentito -devo dire- fin dalle prime pagine, ma poco importa. Un'opera prima di una ragazza, cazzo (ops!), di 4 anni più giovane di me, credo anche che abbia vinto qualche premio importante, sicuramente ha avuto un gran successo.
Forse è tutto un po' troppo desolante per essere del tutto credibile, o forse ho visto un bel mondo e c'è davvero qualcosa del genere là fuori. Padri violenti, madri succubi, palazzoni, ciminiere, operai fatti di coca, una claustrofobia che a Piombino fa sembrare l'Isola d'Elba una meta lontana e irraggiungibile, così come qualsiasi ambizione o ideale.
E' la storia di un'amicizia simbiontica, delicatamente saffica, fra due ragazzine cresciute all'ombra di una gigantesca fabbrica di acciaio, il passaggio abusato, nei libri e al cinema, tra l'età infantile e quella adulta. Ci sono tutti gli ingredienti di qualsiasi adolescenza, dove ognuno può riconoscere un pezzettino di sè. Un romanzo ben scritto, parole azzeccate per descrivere sensazioni note. Ho particolarmente apprezzato le pennellate con cui questa ragazza laureata in filosofia riesce a tratteggiare qualcosa che io non conosco, e forse nemmeno lei, la fabbrica e il suo brulichio di fatica. Meno i quadri familiari, un tantino stantii.
Un libro che merita almeno un bel 7.
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