70 anni, 60 mq, 1 figlio, 1 laurea, 3 lavori ufficiosi, 0 lavori ufficiali, 0 speranze di pensione, aspettativa di vita 20 anni, aspettativa di lavoro 20 anni, articolazioni permettendo.
Generazione "Figlio mio, se ci sei ti aiuti dio".
Buongiorno, sono un'arzilla lavoratrice molto attempata. Per la passione sciocca di studiare sono entrata nel mondo del lavoro da attempata. Per nonni e genitori non ci sono mai entrata veramente. Attempata sì, ma mai abbastanza perchè tale mi considerassero i miei datori di lavoro: e via di stage, tirocini, co-co-pro, occasionali, tempi super-stra-determinati della serie progràmmati pure la vita, se hai il coraggio. Sono andata a vivere da sola da attempata. Ho finito di pagare il mutuo sui miei 60 mq da attempatissima, e fortuna che quella buon'anima di mio padre potè farmi da garante, altrimenti quel mutuo me lo sarei sognata! Figli ho iniziato a desiderarne all'età giusta, ma le contingenze mi hanno portato a pensarci da attempata, e mica sono arrivati al mio primo schiocco di dita, perchè la natura, lei no, non si comanda. Ne desideravo almeno tre, di grazia che ne ho fatto uno, da attempatissima. Adesso, attempato, vorrebbe uscire di casa, poveretto, dorme ancora con mamma e papà, ma come si fa? Donna delle pulizie alla mattina, imbustatrice a cottimo al fast food vietnamita di sera, baby-dog-cat-sitter in nero a tempo perso, metto insieme la mia "pensione", ma figuriamoci se posso aiutare lui! Sol che non gli venga l'idea balzana di riprodursi! Eh no poi, il marmocchio dove lo mettiamo??!! I bei tempi della generazione di noi giovani attempati nutriti dalla paghetta dei genitori fino oltre la data di scadenza è finita. Nemmeno la paghetta ti è rimasta, sventurato figlio mio. E continuano a chiamarla società.
Io le dissi ridendo -Ma signora Aquilone, non le sembra un po' idiota questa sua occupazione?
Lei mi prese la mano e mi disse -Chissà? Forse in fondo a quel filo c'è la mia libertà.
Lei mi prese la mano e mi disse -Chissà? Forse in fondo a quel filo c'è la mia libertà.
martedì 26 aprile 2011
domenica 24 aprile 2011
Tradizione in cucina con la torta pasqualina
Chiedo venia per la triste rima; auspico di farmi perdonare con la ricetta.
Incaricata di realizzare il settore antipasti del pranzo di pasquetta, mi sono cimentata in questa torta salata tradizionale (ligure) per questo giorno. Come tutte le torte salate, che sono una mia passione, si può preparare con calma il giorno prima di servirla, e dunque eccomi qua, a pasqua, a preparare colei che, mi auguro, ci delizierà domani.
Una doverosa premessa. La pasta che tradizionalmente dovrebbe essere utilizzata ha una storia particolare: è una sorta di sfoglia -più semplice, per la verità, di quella classica- che deve essere tirata in 33 dischi sottilissimi (quanti sono gli anni di Gesù) da sovrapporre in due strati, con il ripieno in mezzo. Una chicca gastronomica, buona a sapersi, ma in questo caso ho deciso di soprassedere e ho comprato -ebbene sì, lo ammetto- una volgare pasta sfoglia surgelata (2 dischi tondi).
Ecco dunque cosa occorre per il ripieno:
- un bel mazzo di bietole
- una cipolla dorata
- 500 g di ricotta
- parmigiano grattugiato
- 2 uova + 6 (non spaventatevi, abbiate fede....oggi è proprio il caso di dirlo;)
- olio d'oliva, sale, pepe, prezzemolo
Lessare le bietole in poca acqua salata. Basteranno pochi minuti da quando l'acqua riprende il bollore una volta che sono state immerse. Scolatele e fatele raffreddare, eventualmente sotto il getto dell'acqua fredda. Pelate la cipolla e tritatela finemente. Mettetela in una padella con poco olio, a fuoco inizialmente vivace. Salate e per i primi minuti mescolate, poi abbassate la fiamma, coprite e lasciate appassire per circa 15 minuti. Controllate che non bruci, e se dovesse seccarsi aggiungete poca acqua calda.
Nel frattempo strizzate le bietole e tritatele (basta un buon coltello, il mizer le ridurrebbe in poltiglia). Trascorso il tempo giusto per l'appassimento della cipolla aggiungete le bietole, mescolate e fate insaporire qualche minuto, poi spegnete il fuoco.
Mescolate la ricotta con una generosa quantità di parmigiano, sale, pepe e due uova. Quando sono tiepide aggiungete le bietole e amalgamate.
Ora è giunto il tempo di stendere la pasta sullo stampo, possibilmente di quelli a cerniera, e in ogni caso rivestito di carta da forno. Bucherellate con la forchetta la pasta e adagiatevi il ripieno.
Ora viene il bello. Ricavate nel ripieno 6 incavi distribuiti ad intervalli regolari lungo la circonferenza della torta. In questi "nidi" farete accomodare le uova crude, che condirete con sale e un bel cucchiaio di parmigiano. Il ripieno tolto lo inserirete tra un uovo e l'altro in modo che la superficie della torta sia regolare. Coprite con l'altro disco di pasta, chiudete i margini, magari rifinendoli con i denti di una forchetta. Se dovesse avanzare della pasta utilizzatela per decorare la superficie. Spennellate di olio di oliva ed infornate a 180 °C per circa mezz'ora.
Buon appetito!
Incaricata di realizzare il settore antipasti del pranzo di pasquetta, mi sono cimentata in questa torta salata tradizionale (ligure) per questo giorno. Come tutte le torte salate, che sono una mia passione, si può preparare con calma il giorno prima di servirla, e dunque eccomi qua, a pasqua, a preparare colei che, mi auguro, ci delizierà domani.
Una doverosa premessa. La pasta che tradizionalmente dovrebbe essere utilizzata ha una storia particolare: è una sorta di sfoglia -più semplice, per la verità, di quella classica- che deve essere tirata in 33 dischi sottilissimi (quanti sono gli anni di Gesù) da sovrapporre in due strati, con il ripieno in mezzo. Una chicca gastronomica, buona a sapersi, ma in questo caso ho deciso di soprassedere e ho comprato -ebbene sì, lo ammetto- una volgare pasta sfoglia surgelata (2 dischi tondi).
Ecco dunque cosa occorre per il ripieno:
- un bel mazzo di bietole
- una cipolla dorata
- 500 g di ricotta
- parmigiano grattugiato
- 2 uova + 6 (non spaventatevi, abbiate fede....oggi è proprio il caso di dirlo;)
- olio d'oliva, sale, pepe, prezzemolo
Lessare le bietole in poca acqua salata. Basteranno pochi minuti da quando l'acqua riprende il bollore una volta che sono state immerse. Scolatele e fatele raffreddare, eventualmente sotto il getto dell'acqua fredda. Pelate la cipolla e tritatela finemente. Mettetela in una padella con poco olio, a fuoco inizialmente vivace. Salate e per i primi minuti mescolate, poi abbassate la fiamma, coprite e lasciate appassire per circa 15 minuti. Controllate che non bruci, e se dovesse seccarsi aggiungete poca acqua calda.
Nel frattempo strizzate le bietole e tritatele (basta un buon coltello, il mizer le ridurrebbe in poltiglia). Trascorso il tempo giusto per l'appassimento della cipolla aggiungete le bietole, mescolate e fate insaporire qualche minuto, poi spegnete il fuoco.
Mescolate la ricotta con una generosa quantità di parmigiano, sale, pepe e due uova. Quando sono tiepide aggiungete le bietole e amalgamate.
Ora è giunto il tempo di stendere la pasta sullo stampo, possibilmente di quelli a cerniera, e in ogni caso rivestito di carta da forno. Bucherellate con la forchetta la pasta e adagiatevi il ripieno.
Ora viene il bello. Ricavate nel ripieno 6 incavi distribuiti ad intervalli regolari lungo la circonferenza della torta. In questi "nidi" farete accomodare le uova crude, che condirete con sale e un bel cucchiaio di parmigiano. Il ripieno tolto lo inserirete tra un uovo e l'altro in modo che la superficie della torta sia regolare. Coprite con l'altro disco di pasta, chiudete i margini, magari rifinendoli con i denti di una forchetta. Se dovesse avanzare della pasta utilizzatela per decorare la superficie. Spennellate di olio di oliva ed infornate a 180 °C per circa mezz'ora.
Buon appetito!
venerdì 22 aprile 2011
Giornata della Terra: l'insostenibile nefandezza del crescere
Oggi è la Giornata Mondiale della Terra. Non amo molto questi appuntamenti obbligati. Certo, mettono in luce argomenti basilari, ma mi sembra stiano quasi lì a dire: abbiamo la coscienza pulita, oggi ci occupiamo di questo tema, domani è un altro giorno. Un po' la logica illogica, ingannevole ed ipocrita che promouove le domeniche ecologiche e al tempo stesso nuovi parcheggi e strade a sventrare e soffocare le nostre città. Della serie: oggi al pranzo domenicale dalla zia Pina andateci a piedi o in bici, ripuliamo l'aria e compagnia bella, ma al lavoro, a fare la spesa, a portare i figli a scuola, nel quotidiano, CONTINUATE PURE ad usare la macchina, che noi vi rendiamo sempre più pratico ed agevole usarla a scapito dei mezzi pubblici e della bici.
Colgo tuttavia lo spunto della Giornata della Terra per lanciare un sasso nello stagno. Anzi, nello stagno ci lancio la classica bottiglia con tanto di messaggio.
Message in a bottle: lettera aperta a politici/amministratori/operatori economici/consumatori.
Omioddio, il PIL è in calo, mai stato così basso dal 19equalchecosa, il nostro PIL è la metà di questi e un terzo di questi altri, l'Italia è ferma, l'Italia non cresce, bisogna crescere, bisogna investire sulla crescita. E poi energia, serve più energia, per mantenere l'attuale stile di vita, e le rinnovabili non bastano, e allora il nucleare, viva il nucleare: è sicuro, il nucleare fa sconquassi: abbasso il nucleare, aspettiamo; e c'è Geddafi, evviva Geddafi, abbasso Geddafi, abbasso sì ma non troppo, perchè lui ha il petrolio e il petrolio ci serve.
La Terra, oggi è la sua giornata e possiamo permetterci di essere onesti, ha risorse FI-NI-TE o riproducibili in tempi lenti, che nulla hanno a che fare con le millantate necessità di sviluppo e con l'attuale stile di vita da mantenere o da raggiungere, aurea meta a cui un numero sempre maggiore di persone è istigato a dover tendere. Sviluppo sostenibile, un ossimoro molto modaiolo: per dirla con De Andrè, soltanto una legge che non riesco a capire ha potuto sposarli senza farli scoppiare. La verità è che siamo in troppi e vogliamo troppo: delle due l'una, o diminuiamo in numero o diminuiamo i nostri consumi. Dal momento che la prima via mi pare difficile da perseguire (e sarebbe anche oltraggioso per l'umana pulsione al perpetuarsi nelle generazioni tentare in qualche modo di imporla), occorrerà seguire la seconda, che sembra ostica ma nasconde, a parer mio, insospettabili soddisfazioni. Fino a che dunque continuerò a sentire istituzioni, partiti, persone che si fregiano di avere a cuore le sorti della Terra e al contempo parlano di necessità di crescita saprò che costoro mi stanno prendendo in giro o sono profondamente ignoranti. Possono avere la mia umana comprensione (fino a un certo punto), ma di sicuro non avranno da parte mia la patente della credibilità, nè il mio voto o la mia approvazione.
Desiderare di meno, spostarsi di meno, comprare di meno, vendere di meno, lavorare di meno, spendere di meno. Conoscere di più, donare di più, costruire di più, imparare di più, fermarsi di più, riposare di più. Meno strade, meno parcheggi, meno cantieri, meno cave, meno supermercati, meno viaggi, meno prodotti confezionati, meno regali acquistati, meno omologazione. Più orti, più mani che impastano, più case ristrutturate, più tempo regalato, più regali autoprodotti, più gambe e biciclette, più beni in condivisione, più rispetto per l'individuo e la sua originalità.
Non so se questa ricetta salverà la Terra, forse no. O forse lei si salverà da sola. Ma sono convinta che ne acquisteremmo tutti in serenità.
giovedì 21 aprile 2011
Una pasqua....apPASSIONata a tutti!
Il Cristo di San Juan de la Cruz di Dalì |
Premessa. Non ho particolare simpatia per l'uomo Mel Gibson, per quel che ne so. Quanto ai suoi film, spiccata tendenza alla retorica, dialettica male contro bene troppo netta per i miei gusti.
Tuttavia ho apprezzato questo film.
Forte, ma non più di mille altri. La polemica forse è scaturita dal fatto che sangue e barbarie siano qui accostati al tema religioso. Non ci vedo tuttavia niente di indecoroso in questo. Infondo è la storia di un uomo torturato e ucciso dall'ignoranza degli uomini, dal buio culturale e morale; un simbolo dei tanti che allora come oggi, magari con modalità differenti, magari sottratti ai nostri occhi dall'ipocrisia che nasconde tante moderne crudeltà e ingiustizie, vengono a trovarsi dalla parte sbagliata. E' la storia della debolezza di chi potrebbe cambiare le cose e invece si adegua (Ponzio Pilato), di chi potrebbe rischiare per le proprie idee e invece accetta il compromesso (Pietro); è la storia del popolo di Machiavelli, che satisfatto e stupido, nutre le proprie frustrazioni del dolore dei più deboli.
Lo ammetto, avrei voluto biecamente sfruttare questo film come pretesto per addentrarmi nell'annoso tema della religione e della religiosità. Tuttavia, visto il poco tempo che ho a disposizione in questo momento penso che non andrei oltre a la religione è l'oppio dei popoli, e temo che in tal caso ruberei l'idea a qualcun'altro;) Pertanto sopprassiedo, in attesa di una migliore occasione di concentrazione.
lunedì 18 aprile 2011
Asinello, dove vai?
Vado a scuola, non lo sai?
Vai a scuola? Ma perchè?
Vado a scuola come te. E se non studi, caro mio, il più bravo sarò io.
Filastrocca dal sapore antico, dai primi giorni di scuola la recitavo con la mia mamma. E non ho mai smesso, come del resto nemmeno di andare a scuola.
Mi verrebbe oggi da chiedermi se anche l'asinello di cui sopra abbia dovuto ostinatamente fronteggiare l'orda di professori di sinistra tesi ad inculcargli valori contrari a quelli della sua famiglia.
Un paese che non scommette sulla scuola PUBBLICA, che non la rispetta, non la sostiene, non la incoraggia, non la ascolta, non la tutela, non la difende, non la preserva, non la garantisce è destinato ad un decubito mortale di coscienze ed intelligenze, alla decomposizione, alla morte. Il sommo rappresentante di un paese che irride ed attacca la scuola pubblica, le sottrae risorse a vantaggio di quelle PRI-VA-TE (che, per definizione, a mio avviso non dovrebbero ricevere alcuna sovvenzione pubblica), compie l'azione più meschina e malevola nei confronti di quel paese che per primo dovrebbe amare e servire: lo fa marcire dal suo interno, fiaccando la consapevolezza, il senso critico, l'esercizio dell'opinione e del libero arbitrio dei più giovani. Datemi una schiera di marionette che assumono da decenni frizzi e lazzi e ruby e grandifratelli al posto di cultura, storia, scienza, perchè quella roba lì è di sinistra ed è contraria ai valori della famiglia, e io avrò campo libero per farmi gli affari miei e nessuna di quelle marionette saprà scuotere la testa in segno di dissenso.
Un uomo delle istituzioni che attacca i magistrati mi fa orrore ma ne comprendo la logica, dal momento che quest'uomo è un disonesto: tenta di salvare il salvabile, il grande orto di privilegi conquistato per sè, i suoi amici, familiari, lacché. Un uomo delle istituzioni che attacca la scuola pubblica mi fa ancor più orrore, perchè leggo in questo non più e non solo tutela del proprio interesse, ma vilipendio del mio interesse, di quello dei giovani, di noi tutti.
Elementari, medie, liceo alle scuole pubbliche. Scuole non sempre idilliache. Casi sociali, casi umani, casi da manicomio (anche tra gli insegnanti); ne ho viste tante da raccontar. Non sempre si puntava all'eccellenza, spesso di tirava a campare cercando di perdere per strada meno ragazzi possibile, e già questo di per sè lo trovo eroico da parte di quei maestri e professori che ce l'hanno messa tutta per farlo. Vorrei testimoniare comunque che nè l'eccellenza nè la pretesa di un surrogato di mondo supposto perfetto (senza immigrati, senza ragazzi difficili, etc) sono condizione necessaria e sufficiente per una buona istruzione e nemmeno per la formazione umana. Io le mie occasioni di crescita le ho trovate, eccome, nelle basse scuole pubbliche che ho frequentato e nonostante i professori di sinistra comunisti ed eversivi che ho incontrato.
Per loro, per quelli che più di altri mi hanno lasciato qualcosa o molto di più, lancio nell'etere questo post.
Opromolla Angela, Cappi Silvia, Mazzi Carla, Tarallo Paola, Coppelli Maria Grazia, Di Re Anna, Melotti Paola, e su tutti Cavazzuti Roberta.
Vai a scuola? Ma perchè?
Vado a scuola come te. E se non studi, caro mio, il più bravo sarò io.
Filastrocca dal sapore antico, dai primi giorni di scuola la recitavo con la mia mamma. E non ho mai smesso, come del resto nemmeno di andare a scuola.
Mi verrebbe oggi da chiedermi se anche l'asinello di cui sopra abbia dovuto ostinatamente fronteggiare l'orda di professori di sinistra tesi ad inculcargli valori contrari a quelli della sua famiglia.
Un paese che non scommette sulla scuola PUBBLICA, che non la rispetta, non la sostiene, non la incoraggia, non la ascolta, non la tutela, non la difende, non la preserva, non la garantisce è destinato ad un decubito mortale di coscienze ed intelligenze, alla decomposizione, alla morte. Il sommo rappresentante di un paese che irride ed attacca la scuola pubblica, le sottrae risorse a vantaggio di quelle PRI-VA-TE (che, per definizione, a mio avviso non dovrebbero ricevere alcuna sovvenzione pubblica), compie l'azione più meschina e malevola nei confronti di quel paese che per primo dovrebbe amare e servire: lo fa marcire dal suo interno, fiaccando la consapevolezza, il senso critico, l'esercizio dell'opinione e del libero arbitrio dei più giovani. Datemi una schiera di marionette che assumono da decenni frizzi e lazzi e ruby e grandifratelli al posto di cultura, storia, scienza, perchè quella roba lì è di sinistra ed è contraria ai valori della famiglia, e io avrò campo libero per farmi gli affari miei e nessuna di quelle marionette saprà scuotere la testa in segno di dissenso.
Un uomo delle istituzioni che attacca i magistrati mi fa orrore ma ne comprendo la logica, dal momento che quest'uomo è un disonesto: tenta di salvare il salvabile, il grande orto di privilegi conquistato per sè, i suoi amici, familiari, lacché. Un uomo delle istituzioni che attacca la scuola pubblica mi fa ancor più orrore, perchè leggo in questo non più e non solo tutela del proprio interesse, ma vilipendio del mio interesse, di quello dei giovani, di noi tutti.
Elementari, medie, liceo alle scuole pubbliche. Scuole non sempre idilliache. Casi sociali, casi umani, casi da manicomio (anche tra gli insegnanti); ne ho viste tante da raccontar. Non sempre si puntava all'eccellenza, spesso di tirava a campare cercando di perdere per strada meno ragazzi possibile, e già questo di per sè lo trovo eroico da parte di quei maestri e professori che ce l'hanno messa tutta per farlo. Vorrei testimoniare comunque che nè l'eccellenza nè la pretesa di un surrogato di mondo supposto perfetto (senza immigrati, senza ragazzi difficili, etc) sono condizione necessaria e sufficiente per una buona istruzione e nemmeno per la formazione umana. Io le mie occasioni di crescita le ho trovate, eccome, nelle basse scuole pubbliche che ho frequentato e nonostante i professori di sinistra comunisti ed eversivi che ho incontrato.
Per loro, per quelli che più di altri mi hanno lasciato qualcosa o molto di più, lancio nell'etere questo post.
Opromolla Angela, Cappi Silvia, Mazzi Carla, Tarallo Paola, Coppelli Maria Grazia, Di Re Anna, Melotti Paola, e su tutti Cavazzuti Roberta.
martedì 5 aprile 2011
Acciaio, elegia di una periferia italiana
Ho finito questo libro proprio oggi, seduta su una panchina assolata di un parchetto in quel di Fanano, con le cime innevate a far capolino sullo sfondo.
C'è il colpo di scena, presentito -devo dire- fin dalle prime pagine, ma poco importa. Un'opera prima di una ragazza, cazzo (ops!), di 4 anni più giovane di me, credo anche che abbia vinto qualche premio importante, sicuramente ha avuto un gran successo.
Forse è tutto un po' troppo desolante per essere del tutto credibile, o forse ho visto un bel mondo e c'è davvero qualcosa del genere là fuori. Padri violenti, madri succubi, palazzoni, ciminiere, operai fatti di coca, una claustrofobia che a Piombino fa sembrare l'Isola d'Elba una meta lontana e irraggiungibile, così come qualsiasi ambizione o ideale.
E' la storia di un'amicizia simbiontica, delicatamente saffica, fra due ragazzine cresciute all'ombra di una gigantesca fabbrica di acciaio, il passaggio abusato, nei libri e al cinema, tra l'età infantile e quella adulta. Ci sono tutti gli ingredienti di qualsiasi adolescenza, dove ognuno può riconoscere un pezzettino di sè. Un romanzo ben scritto, parole azzeccate per descrivere sensazioni note. Ho particolarmente apprezzato le pennellate con cui questa ragazza laureata in filosofia riesce a tratteggiare qualcosa che io non conosco, e forse nemmeno lei, la fabbrica e il suo brulichio di fatica. Meno i quadri familiari, un tantino stantii.
Un libro che merita almeno un bel 7.
C'è il colpo di scena, presentito -devo dire- fin dalle prime pagine, ma poco importa. Un'opera prima di una ragazza, cazzo (ops!), di 4 anni più giovane di me, credo anche che abbia vinto qualche premio importante, sicuramente ha avuto un gran successo.
Forse è tutto un po' troppo desolante per essere del tutto credibile, o forse ho visto un bel mondo e c'è davvero qualcosa del genere là fuori. Padri violenti, madri succubi, palazzoni, ciminiere, operai fatti di coca, una claustrofobia che a Piombino fa sembrare l'Isola d'Elba una meta lontana e irraggiungibile, così come qualsiasi ambizione o ideale.
E' la storia di un'amicizia simbiontica, delicatamente saffica, fra due ragazzine cresciute all'ombra di una gigantesca fabbrica di acciaio, il passaggio abusato, nei libri e al cinema, tra l'età infantile e quella adulta. Ci sono tutti gli ingredienti di qualsiasi adolescenza, dove ognuno può riconoscere un pezzettino di sè. Un romanzo ben scritto, parole azzeccate per descrivere sensazioni note. Ho particolarmente apprezzato le pennellate con cui questa ragazza laureata in filosofia riesce a tratteggiare qualcosa che io non conosco, e forse nemmeno lei, la fabbrica e il suo brulichio di fatica. Meno i quadri familiari, un tantino stantii.
Un libro che merita almeno un bel 7.
lunedì 4 aprile 2011
Chi ha paura dell'uomo nero?
Gli immigrati sono una delle merci di scambio più ghiotte per tirare acqua al proprio mulino. Anche la bomba ad orologeria di Lampedusa non sfugge a questa logica.
Da un lato, c'è chi cavalca la politica del fora di bal, facile da leggere per il commerciante che biascica uno stuzzicadenti al bar del dopolavoro. Dall'altro, c'è chi teorizza l'accoglienza e il così non si fa, dal morbido delle poltrone di chi non ha la patata bollente in mano. Il giovinastro con sottobraccio l'Unità accusa il commerciante di essere gretto e razzista, il commerciante d'altra parte accusa il giovinastro di non guardare alla concretezza e di parlare a vanvera...che quando poi te ne trovi uno in casa a rubare le tue cose ti voglio poi vedere.
In mezzo ci stanno coloro che dell'attuale emergenza immigrati si trovano a doversi occupare. Riunioni, visite, vertici, programmi, in un accavallarsi frenetico di iniziative da "emergenza improvvisa". Ma il bubbone immigrazione dal Nord Africa non è il terremoto in Giappone. E mi viene da domandarmi: in quali faccende erano affaccendati costoro negli ultimi mesi (se non anni)? non era forse la polveriera del Nord Africa anche sotto i loro occhi? e l'opposizione? invece di perpetuarsi nella discussione del nulla non poteva concordare col governo una strategia di intervento verso l'ineludibile?
Mesi a (stra-)parlare di processo breve, vendendoci per epocali ovvietà del tipo "chi sbaglia deve pagare" (grazie), educandoci alla superficialità e all'appiattimento, a prendere per buone quattro litanie masticate in tv dai soliti uomini sandwich. Ed ecco che ci ritroviamo la guerra civile in casa, ma quello che balza alle cronache è una barzelletta, un investimento immobiliare, un degradante becero spettacolo di guerra civile messa in scena nella aule parlamentari.
Persone in fuga dalla guerra e dalla fame, e certo non si può pensare di chiuderle in una scatola, semplicemente sottratte alla vista di noi che qui ci facciamo il culo a pagare le tasse. Peraltro ho idea -sensazione personalissima e senza alcun riscontro oggettivo- che molti di coloro che la pensano così, le tasse non le paghino o le paghino solo perchè costretti, e che si arrovellino su ogni sorta di escamotage per pagarne il meno possibile.
Certo l'Europa dovrebbe dare una mano. E tuttavia scontiamo a mio giudizio anche in questo l'inconsistenza della nostra politica estera, lo sgretolamento della nostra credibilità, e adesso siamo un po' ridicoli a battere i piedi pretendendo di essere presi sul serio e che ci si fidi di noi.
Da un lato, c'è chi cavalca la politica del fora di bal, facile da leggere per il commerciante che biascica uno stuzzicadenti al bar del dopolavoro. Dall'altro, c'è chi teorizza l'accoglienza e il così non si fa, dal morbido delle poltrone di chi non ha la patata bollente in mano. Il giovinastro con sottobraccio l'Unità accusa il commerciante di essere gretto e razzista, il commerciante d'altra parte accusa il giovinastro di non guardare alla concretezza e di parlare a vanvera...che quando poi te ne trovi uno in casa a rubare le tue cose ti voglio poi vedere.
In mezzo ci stanno coloro che dell'attuale emergenza immigrati si trovano a doversi occupare. Riunioni, visite, vertici, programmi, in un accavallarsi frenetico di iniziative da "emergenza improvvisa". Ma il bubbone immigrazione dal Nord Africa non è il terremoto in Giappone. E mi viene da domandarmi: in quali faccende erano affaccendati costoro negli ultimi mesi (se non anni)? non era forse la polveriera del Nord Africa anche sotto i loro occhi? e l'opposizione? invece di perpetuarsi nella discussione del nulla non poteva concordare col governo una strategia di intervento verso l'ineludibile?
Mesi a (stra-)parlare di processo breve, vendendoci per epocali ovvietà del tipo "chi sbaglia deve pagare" (grazie), educandoci alla superficialità e all'appiattimento, a prendere per buone quattro litanie masticate in tv dai soliti uomini sandwich. Ed ecco che ci ritroviamo la guerra civile in casa, ma quello che balza alle cronache è una barzelletta, un investimento immobiliare, un degradante becero spettacolo di guerra civile messa in scena nella aule parlamentari.
Persone in fuga dalla guerra e dalla fame, e certo non si può pensare di chiuderle in una scatola, semplicemente sottratte alla vista di noi che qui ci facciamo il culo a pagare le tasse. Peraltro ho idea -sensazione personalissima e senza alcun riscontro oggettivo- che molti di coloro che la pensano così, le tasse non le paghino o le paghino solo perchè costretti, e che si arrovellino su ogni sorta di escamotage per pagarne il meno possibile.
Certo l'Europa dovrebbe dare una mano. E tuttavia scontiamo a mio giudizio anche in questo l'inconsistenza della nostra politica estera, lo sgretolamento della nostra credibilità, e adesso siamo un po' ridicoli a battere i piedi pretendendo di essere presi sul serio e che ci si fidi di noi.
domenica 3 aprile 2011
Torta al limon, vero limon
Torno ad un post sulla cucina dopo qualche tempo, latitanza forse legata al rush finale per la discussione della tesi di dottorato. Lo faccio con una ricetta che mi è stato richiesto di ricopiare un paio di giorni fa da un'amica. Un dolce molto indicato dopo un lauto banchetto, a metà tra una torta e quasi un dolce al cucchiaio, da servire freddo. Ricetta rubata alla mamma dell'amato coinquilino umano.
Per la pasta:
300 g di farina,
100/150 g di burro
100/150 g di zucchero
1 uovo
Il procedimento è quello di una normale pasta frolla, e dunque briciole di burro intrise di farina, rapidità, riposo in luogo fresco.
Per il ripieno:
350-400 g di acqua, 50 g di fecola, 150 g di zucchero, 50 g di burro, 3 grossi limoni non trattati (di quelli buoni, coi bitorzoli, mica quelli lisci e lucidi in modo preoccupante venduti nelle reti...).
Sciogliete la fecola in parte dell'acqua prevista, a freddo, perchè si scioglie molto più facilmente senza formare grumi. Ponete la restante acqua insieme allo zucchero su un pentolino a bagnomaria, aspettando che lo zucchero si sciolga. Aggiungete a questo punto il burro e la fecola, mescolando. Attendete il bollore e continuate la cottura per circa due minuti, e comunque fino a che non otterrete un composto tipo gelatina (vedi fotografia).
Raffreddate e aggiungete il succo dei tre limoni. Stendete la pasta sulla tortiera e ricopritela col ripieno. Finchè c'è pasta c'è speranza e c'è anche la possibilità (la ricetta lo prevederebbe) di comporre la classica griglia tipo crostata, cosa che io nel caso della foto non ho fatto, ma voi, fate pure!
Infornate a 175°C per circa 40-45 minuti. La torta uscirà dal forno col ripieno semi-liquido: è normale, attendete una notte affinchè si solidifichi e servite il dolce freddo!
English version:
This pie is perfect after a heavy lunch/dinner as the lemon taste helps digestion.
This is what you need:
For the pastry:
300 g meal
100/150 g of butter
100/150 g of sugar
1 egg
This is a classical "pasta frolla"; it means that you should obtain with your fingers crumbs of butter and meal (mixed with sugar) to be bound with the egg. Take care to knead quickly and put the pastry in a cold place for half an hour.
For the filling:
350-400 g of water,
50 g of potato starch
150 g of sugar
50 g of butter
3 organic lemons
Mix the potato starch with some cold water, then put the rest of the water together with the sugar into a kettle in a bain-marie. When all the sugar is dissolved, add the butter and the potato starch: mix until boiling and continue to cook at least for a couple of minutes (the filling should appear like a sort of jelly).
Wait for cooling and add the juice of the three lemons and mix.
Roll the pastry into the cake tin and add the filling. If you want you can compose the pastry like a classical jam tart (in Italy we call it "crostata"). Put into the oven at 175°C for 40-45 minutes.
After this time, despite the tart will be well cooked, the filling of the tart will be almost in a liquid state, but don't worry as this is normal! Wait for a night and serve the day after, better if the tart is cool.
La torta al limone appena sfornata: ancora 24 ore di pazienza... |
300 g di farina,
100/150 g di burro
100/150 g di zucchero
1 uovo
Il procedimento è quello di una normale pasta frolla, e dunque briciole di burro intrise di farina, rapidità, riposo in luogo fresco.
Per il ripieno:
350-400 g di acqua, 50 g di fecola, 150 g di zucchero, 50 g di burro, 3 grossi limoni non trattati (di quelli buoni, coi bitorzoli, mica quelli lisci e lucidi in modo preoccupante venduti nelle reti...).
Sciogliete la fecola in parte dell'acqua prevista, a freddo, perchè si scioglie molto più facilmente senza formare grumi. Ponete la restante acqua insieme allo zucchero su un pentolino a bagnomaria, aspettando che lo zucchero si sciolga. Aggiungete a questo punto il burro e la fecola, mescolando. Attendete il bollore e continuate la cottura per circa due minuti, e comunque fino a che non otterrete un composto tipo gelatina (vedi fotografia).
Il ripieno gelatinoso |
Infornate a 175°C per circa 40-45 minuti. La torta uscirà dal forno col ripieno semi-liquido: è normale, attendete una notte affinchè si solidifichi e servite il dolce freddo!
English version:
This pie is perfect after a heavy lunch/dinner as the lemon taste helps digestion.
This is what you need:
For the pastry:
300 g meal
100/150 g of butter
100/150 g of sugar
1 egg
This is a classical "pasta frolla"; it means that you should obtain with your fingers crumbs of butter and meal (mixed with sugar) to be bound with the egg. Take care to knead quickly and put the pastry in a cold place for half an hour.
For the filling:
350-400 g of water,
50 g of potato starch
150 g of sugar
50 g of butter
3 organic lemons
Mix the potato starch with some cold water, then put the rest of the water together with the sugar into a kettle in a bain-marie. When all the sugar is dissolved, add the butter and the potato starch: mix until boiling and continue to cook at least for a couple of minutes (the filling should appear like a sort of jelly).
Wait for cooling and add the juice of the three lemons and mix.
Roll the pastry into the cake tin and add the filling. If you want you can compose the pastry like a classical jam tart (in Italy we call it "crostata"). Put into the oven at 175°C for 40-45 minutes.
After this time, despite the tart will be well cooked, the filling of the tart will be almost in a liquid state, but don't worry as this is normal! Wait for a night and serve the day after, better if the tart is cool.
venerdì 1 aprile 2011
La storia non ha nascondigli
"Il capo del Governo si macchiò ripetutamente durante la sua carriera di delitti che, al cospetto di un popolo onesto, gli avrebbero meritato la condanna, la vergogna e la privazione di ogni autorità di governo.
Perché il popolo tollerò e addirittura applaudì questi crimini?
Una parte per insensibilità morale, una parte per astuzia, una parte per interesse e tornaconto personale.
La maggioranza si rendeva naturalmente conto delle sue attività criminali, ma preferiva dare il suo voto al forte piuttosto che al giusto.
Purtroppo il popolo italiano, se deve scegliere tra il dovere e il tornaconto, pur conoscendo quale sarebbe il suo dovere, sceglie sempre il tornaconto. Così un uomo mediocre, grossolano, di eloquenza volgare ma di facile effetto, è un perfetto esemplare dei suoi contemporanei.
Presso un popolo onesto, sarebbe stato tutt'al più il leader di un partito di modesto seguito, un personaggio un po' ridicolo per le sue maniere, i suoi atteggiamenti, le sue manie di grandezza, offensivo per il buon senso della gente e causa del suo stile enfatico e impudico.
In Italia è diventato il capo del governo.
Ed è difficile trovare un più completo esempio italiano.
Ammiratore della forza, venale, corruttibile e corrotto, cattolico senza credere in Dio, presuntuoso, vanitoso, fintamente bonario, buon padre di famiglia ma con numerose amanti, si serve di coloro che disprezza, si circonda di disonesti, di bugiardi, di inetti, di profittatori; mimo abile, e tale da fare effetto su un pubblico volgare, ma, come ogni mimo, senza un proprio carattere, si immagina sempre di essere il personaggio che vuole rappresentare."
Elsa Morante
Qualunque cosa abbiate pensato, il testo, del 1945, si riferisce a MUSSOLINI...
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