Come dice Nanni Moretti in un suo film, io ho una deformazione del padiglione auricolare che non mi consente di ascoltare altro che musica italiana. Beh, forse non fino a questo punto ma quasi: il mio panorama musicale non italiano abbraccia ben pochi pezzi e pochissimi sono quelli, che magari conosco e apprezzo, di cui ricordo titolo e interprete.
Quello di Lucio Dalla è stato il mio primo concerto. Anno 1992, insieme a mia madre.
Il mio grazie oggi va ad un artista che sfuggiva ai canoni del cantautore impegnato, dell'intellettuale cupo e maledetto, un guascone della musica, le cui parole, dissacranti e struggenti, hanno accompagnato tanti passaggi della mia vita e continueranno a farlo. Potere della trascendenza tutta umana di chi ha lasciato qualcosa di sé.
Per "4 marzo 1943", per quello strano titolo di cui mia madre mi aveva raccontato la storia. La canzone che associo a lei (mia madre).
Per "Anna e Marco", che alle medie cantavo alla mia prof di arte perché era uno dei suoi pezzi preferiti ed io, suppongo, ero uno dei pochi tredicenni che lo conosceva.
Per "Canzone"...diglielo veramente, non può restare indifferente e se rimane indifferente non è lei. Perché è una delle frasi più belle sull'amore e sulla fiducia che io abbia mai sentito.
Perché c'è voluto il mio compagno secchione del ginnasio a spiegarmi con parole compìte che la chiusa di "Disperato erotico stomp" parlava di "autoerotismo maschile" (ipse dixit). Gran pezzo.
Perché "Com'è profondo il mare" è il mio vangelo laico, perché a modo mio ho bisogno di testi sacri anch'io.
Qui mi fermo, giusto per limitarmi alla top five.
Ciao Lucio, oggi va così, ma tra un'orazione funebre e l'altra, io ti immagino mentre ci dici: vi dò due ore, due ore al massimo, poi sulla testa vi piscerei...
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